La lettera di oggi, viva e potente testimonianza, arriva da Bujumbura dove cooperatori abruzzesi(e alpini) fanno, “con”e “per” la gente del luogo,e riconoscono le ferite aperte.Vorrei che persone così fossero ascoltate dal governo che prepara un Piano Mattei per l’Africa che dovrà essere degno del suo nomee dell’urgenza di giustizia che in tanti sentiamo...
Caro direttore,
dopo 10 anni, sono ritornato in Burundi per riporre mano, col contributo dei soliti amici alpini di Vissone e di Torreboldone (ma non solo), al pavimento di un palazzetto dello sport – chiamiamolo così – Salle de conciliation tra ragazzi Hutu e Tutsi dopo i fatti terribili delle contrapposizioni etniche degli anni 80 del secolo scorso. Al di là di qualche costruzione cittadina di cristallo, dietro grovigli di improbabili impalcature di legno legate con fil di ferro, poco mi è sembrato cambiato. Anzi. Alcuni amici di qui sostengono che le condizioni di vita, per l'80% della popolazione sono peggiorate, con i prezzi aumentati a dismisura: un chilo di pannocchie di mais scaricate sul mercato di Bujumbura dal nostro tassista rurale, costa 2,800 franchi burundesi, cioè circa un euro, a fronte di uno stipendio medio mensile che si attesta sull’equivalente di 100 euro.
Ma ciò che prende come un pugno allo stomaco, sono le frotte di bimbi, vaganti verso chissà quali mete, in condizioni davvero inimmaginabili. Ho visto fuggire un gruppetto di questi bimbi, che mi circondavano davanti a un piccolo emporio, alla vista di alcuni militari, e un giovane, in un francese stentato, come il mio, ci ha spiegato che fuggono perché li si vuol togliere dalle strade per nasconderli da qualche parte, o riportarli à la campagne da dove tanti di loro sono venuti.
Nella casa-missione di Da.Pa.d.U. (“Dalla parte degli ultimi”), a oltre 2.000 metri di altezza – intorno alla quale due donne hanno già preparato le zolle con le loro lunghe zappe per le sementi che abbiamo portato – sferzata dagli “acquiventi” in questa stagione delle piogge, davvero si può essere presi dallo sconforto per tutto quello che l'Occidente sviluppato dovrebbe fare “per” e “con” questa bella Africa. Una terra ricca di uomini e di risorse che però non stanno sulla tavola dei suoi affamati, i quali quando si mettono in viaggio, per chiederci aiuto e anche un po’ conto di ciò che facciamo e tolleriamo che si faccia sulla loro pelle, non contemplano il rischio di affogare sulle nostre coste sempre più insidiose.
Penso che i reggitori degli Stati – a cominciare da quelli che fomentano guerre in ogni cantone del globo e vendono armi a chi le guerre le fa e le prepara – citando il latinista (e amico suo e di “Avvenire”, lo so) Ivano Dionigi, «non possono essere perdonati, perché sanno benissimo ciò che fanno». L’immagine dei bimbi deposti nell'erba, quando le loro madri sono troppo stanche per tenerseli dietro le spalle dopo ore e ore di lavoro nei campi, ci grida letteralmente in faccia: a quanti Piani di ricostruzione e resilienza (tipo il nostro Pnrr) si dovrebbe porre mano, in questo mondo traballante, sommamente ingiusto e cattivo? Buon tempo pasquale, direttore, spes contra spem, anche lassù...
Giovanni Maria FanchiniBujumbura (Burundi)