Nel racconto del missionario del Pime padre Angelo Lazzarotto una chiave per capire il processo avviato dall’Accordo provvisorio tra la Santa Sede e la Cina: può essere considerato uno dei più importanti avvenimenti di questo secolo, a livello tanto ecclesiastico, quanto geopolitico
In Cina si è aperta una pagina nuova per la Chiesa: quella della riconciliazione tra 'clandestini' e 'patriottici'. A Mindong – nella provincia dello Zhejiang da cui provengono molti immigrati cinesi in Italia – i due vescovi presenti da anni nella diocesi hanno iniziato a collaborare. Zhan Silu, riconosciuto dal Governo e dalla Santa Sede come titolare, è andato a trovare Guo Xijin per ringraziarlo di aver accettato la funzione di ausiliare e hanno cominciato a parlare insieme del futuro della loro Chiesa. Questo nuovo inizio potrebbe essere descritto in termini di cambiamento al posto di comando, con la sostituzione del vescovo (ex) 'clandestino' con il vescovo 'patriottico', a seguito di un’imposizione dall’alto che rovescerebbe la naturale gerarchia morale tra i due vescovi.
Ma oggi tutti i vescovi cinesi sono in comunione con il Papa e insistere su ragioni, diritti e precedenti significa non comprendere il profondo senso umano e spirituale di quanto sta avvenendo nella Chiesa cinese. Significa ostacolare il cammino indicato da Benedetto XVI nel 2007 quando rivolse «un pressante invito al perdono e alla riconciliazione» tra cattolici cinesi e raccomandò di superare «posizioni o visioni personali, nate da esperienze dolorose o difficili». L’Accordo provvisorio tra Santa Sede e Cina sulla nomina dei vescovi è stato voluto da papa Francesco proprio per favorire tale riconciliazione. Oggi ci sono condizioni nuove per realizzare concretamente – non solo a Mindong: 'clandestini' e patriottici' si stanno incontrando anche altrove – l’avvicinamento reciproco già auspicato da Benedetto XVI sulla base della «purificazione della memoria, il perdono di chi ha fatto del male, la dimenticanza dei torti subiti e la rappacificazione dei cuori nell’amore».
Questa riconciliazione non è un’imposizione vaticana, ma risponde a un’aspirazione antica e radicata dei cattolici cinesi, in primo luogo proprio di molti 'clandestini'. Se in Cina non ci sono mai state 'due Chiese' – una tutta governativa e separata da Roma, l’altra perseguitata e fedele al Papa – è perché tantissimi 'clandestini' e 'patriottici' non l’hanno mai voluto. Parla in modo eloquente in questo senso la storia di Odorico Liu Hede, frate minore di Hankou nominato vicario generale di questa diocesi nei primi anni Cinquanta ma poi arrestato per la sua opposizione al Movimento di riforma della Chiesa. Ad Hankou viveva un altro frate minore, Bernardino Dong Guangqing, che invece fu il primo nel 1958 a essere consacrato vescovo senza l’approvazione di Roma (cfr. 'Avvenire', 30 agosto 2018). Odorico Liu venne poi liberato nel 1978 e nel 1982, all’età di settantadue anni, fu nominato da Roma vescovo di Hankou ma non riconosciuto dalle autorità cinesi. La diocesi di Hankou si trovò così ad avere due vescovi, l’uno 'ufficiale' e l’altro 'clandestino': due percorsi opposti, da cui sembrerebbe poter scaturire solo il conflitto. Ma quando padre Angelo Lazzarotto, missionario del Pime e profondo conoscitore della situazione della Chiesa cinese, si recò nel novembre 1979 a Hankou, trovò una situazione molto diversa da quella che ci si poteva immaginare. Era appena iniziata la fase di 'Riforma e apertura' avviata da Deng Xiaoping e si sapeva molto poco della situazione dei cattolici cinesi dopo la Rivoluzione culturale. «All’inizio di novembre del 1979 – racconta padre Lazzarotto – mi trovavo nella città di Hankou. Mi recai dove sapevo che sorgeva la cattedrale e al cancello chiesi di Dong Guangqing. Il portiere rispose che l’avrei potuto trovare il giorno dopo. L’indomani, al mattino presto, vidi un operaio che veniva per restaurare la chiesa: era il vescovo. Ci scambiammo un paio di frasi in latino. Mi spiegò che era tornato in città da poco tempo, quando le autorità avevano deciso che la cattedrale doveva essere riparata e riaperta; lui stesso stava lavorando a questo scopo come semplice operaio'. Gli edifici della missione di Hankou, requisiti dal governo durante la Rivoluzione culturale, erano stati infatti utilizzati come scuole o altro. «Mi chiese subito – aggiunge padre Lazzarotto – cosa pensassero di lui a Roma e cosa poteva fare. Nonostante fosse additato come il porta-bandiera della nuova linea di indipendenza della Chiesa cinese da poteri stranieri, Bernardino Dong era ansioso che il Papa potesse comprendere e accettare la sua volontà di comunione. Poi mi mostrò quello che rimaneva della biblioteca della missione: nella sua stanza aveva raccolto alcuni libri, gelosamente custoditi, tra i quali alcuni antichi e in latino, che aveva potuto salvare dalle guardie rosse. È probabile che questi libri fossero sfuggiti fortunosamente ai roghi degli anni precedenti, tanto che alcuni volumi erano un po’ bruciacchiati». Benché «patriottico», anche Bernardino Dong non aveva avuto una vita facile.
Nacque allora un’amicizia tra lui e padre Lazzarotto e nel 1984, durante un’altra visita, il missionario del Pime ebbe modo di incontrare anche Odorico Liu Hede di cui conserva un vivo ricordo e una grande stima. «Odorico Liu – ricorda padre Lazzarotto – ascoltava la Radio vaticana e, quando lo incontrai, mi diede una notizia sul papa che io non sapevo! ». Dopo venti anni di reclusione e lavori forzati, Odorico Liu, nel frattempo ordinato vescovo da Roma, ma non riconosciuto dalle autorità, aveva cercato la riconciliazione con il vescovo Bernardino Dong e con la comunità ufficiale della sua diocesi. Nulla era riuscito a spezzare il legame di fraternità tra i due francescani, amici e compagni di un tempo. I due trovarono un accordo per risolvere il problema della presenza di due vescovi titolari della stessa diocesi. Spiega padre Lazzarotto: «Bernardino Dong riconobbe Odorico Liu come vescovo titolare, considerandosi come suo ausiliare, mentre Odorico Liu, per non esasperare la contrapposizione, decise di rinunciare ad ogni esercizio pubblico della sua autorità di vescovo (che però continuò a essere riconosciuta da tutti i cattolici). Le autorità locali, pur non riconoscendo Odorico Liu come vescovo, non lo arrestarono ma lo «affidarono alla custodia» di Bernardino Dong che lo invitò a vivere nel seminario diocesano di cui era rettore ». Grazie a questo geniale e coraggioso compromesso tra i due, la comunità cattolica di Hankou poté rimanere unita.
Di pochi anni più vecchio del suo confratello, Odorico Liu morì nel 2001 e fu Bernardino Dong a celebrare il suo funerale. È un precedente – ce ne sono anche altri – che illumina di una luce evangelica il percorso attuale dei cattolici cinesi verso la piena riconciliazione. Quanto sta avvenendo non è affatto l’abbandono dei 'clandestini', ma apre la strada all’uscita dalla clandestinità di una parte dei cattolici, come auspicava Benedetto XVI nel 2007. Indubbiamente i problemi non mancano e tanti, come il cardinal Parolin, guardano con grande attenzione alle difficoltà, in questo percorso, dei vescovi 'clandestini' non ancora riconosciuti dal governo cinese. Ma la riconciliazione non può essere ridotta a una vicenda di posti, potere o politica. Al contrario il processo di riconciliazione avviato dall’Accordo provvisorio tra la Santa Sede e la Cina può essere considerato, come suggerisce il reverendo Kim-kwong Chan, autorevole esponente della comunità protestante di Hong Kong, «uno dei più importanti avvenimenti di questo secolo, a livello tanto ecclesiastico, quanto geopolitico».