Con le vittime e coi mediatori
sabato 7 maggio 2022

Si parla molto in questa fase sempre più drammatica del conflitto russo-ucraino di ripresa dello «spirito di Helsinki». Lo ha fatto anche Sergio Mattarella, a Strasburgo, auspicando il compito di «ottenere il cessate il fuoco e ripartire con la costruzione di un quadro internazionale rispettoso e condiviso che conduca alla pace». L’auspicio espresso dal Presidente, senza nascondersi il cammino verso tale meta, è quello della convocazione di una Conferenza di pace ma, appunto, nello spirito di Helsinki, «non Jalta». Con l’obiettivo cioè di superare, non di sancire, la logica dei blocchi, basata sulla troppo fragile regola dei timori, delle diffidenze e degli inganni reciproci.

Lunedì prossimo, 9 maggio, ricorre il 44° anniversario della tragica morte di Aldo Moro, e ogni anno è sorprendente come il suo esempio e le sue parole, vengano in aiuto come una carezza inaspettata in tempi difficili che mai pensavamo di dover attraversare. Una bella foto lo ritrae mentre stringe la mano al presidente russo Breznev. Come ricorda su 'Affari internazionali' Gianfranco Nitti, che ne fu giovane testimone diretto, «firmando Moro nell’agosto 1975 l’Atto Finale della Conferenza di Helsinki, sia come presidente del Consiglio italiano sia come presidente di turno dell’allora Comunità Europea, gli fu da qualcuno contestato che era illusorio sottoscrivere un documento così innovativo (...) mentre da parte di Breznev si affermava il permanere della 'sovranità limitata' degli Stati amici dell’Urss. Moro replicò profetico: 'Il signor Breznev passerà e il seme che tutti insieme abbiamo gettato darà i suoi frutti'».

Da quegli incontri nacque l’Osce, un organismo internazionale con grandi prospettive ma privo di incisività – come d’altronde l’Onu – senza la collaborazione fattiva degli Stati nazionali. Tuttavia è convinzione generale che a Helsinki furono poste le basi per il superamento della Guerra fredda, un processo che avrebbe portato alla dissoluzione dell’impero sovietico e alla caduta del Muro, 14 anni dopo. Poi è accaduto che l’Europa 'a due polmoni' per dirla con san Giovanni Paolo II, ha interrotto il suo cammino e invertito la rotta. Sarebbe lungo e controverso analizzare motivi e colpe, ma non a caso il fallimento degli accordi di Minsk del 2014 è stato, di fatto, il fallimento dell’Osce nel processo di lenta composizione del conflitto scaturito dall’invasione russa della Crimea.

Per riferire di utopie 'possibili', si potrebbe parlare, poi, del cessate il fuoco che da 15 anni – va ricordato – resiste tra parti mediorientali che continuano a non riconoscersi reciprocamente, ma che accettano l’insediamento di una forza di interposizione, guarda caso a guida italiana, e anche lì c’è tanto del lavoro e dell’impegno di Moro ministro degli Esteri e presidente del Consiglio. Ma a chi mastica poco di geopolitica, e si ritrova impotente e scoraggiato, di fronte a immagini agghiaccianti che ci arrivano ormai da due mesi e mezzo, viene ancora in aiuto il grande statista italiano.

Basta solo che proviamo a 'liberarlo' dalla prigione brigatista e che facciamo uso della disponibilità online dei suoi scritti offerta dalla 'Edizione nazionale delle opere di Aldo Moro' Moro, da presidente della Fuci, interveniva su 'Azione fucina', nel maggio del 1940, per aderire alla richiesta di Pio XII di momenti di preghiera per la pace nel mese mariano. «Un atto spirituale» per fronteggiare «una vigorosa affermazione di potenza di eserciti in lotta». Un atto «apparentemente inoperante», e che tuttavia tale non era, e non è, in quanto espressione della «coscienza che abbiamo del nostro male che causa ancora il male».

Essendo noi, «un po’ responsabili, almeno, per un vincolo che stringe gli uomini e ne fa un corpo solo, partecipi, per una provvidenziale destinazione, ciascuno della verità e del bene che è negli altri». Fratelli tutti, si potrebbe dire. E si era ancora in tempo a evitare il peggio anche in Ucraina, quando questa enciclica di papa Francesco fu promulgata. Ma non è mai troppo tardi per compiere gesti di riconciliazione e perdono, come sono le edificanti storie della giustizia riparativa, fondata su centralità delle vittime e ruolo dei mediatori, nel segno preciso di quella giustizia a misura di persona da Moro più di ogni altro voluta e inserita nella nostra Carta fondamentale.

Questa chiarezza di base, insieme al coraggio e alla fantasia dei mediatori, rappresenta l’unica strada per venir fuori anche nei grandi conflitti. Facendo attenzione a non «lacerare quei preziosi legami tra i popoli europei che la cultura ha contribuito a costruire e a consolidare», ha detto ancora Mattarella, un presidente che conosce bene l’insegnamento di Moro. L’Italia e l’Europa rilancino il ruolo di propagatori di pace che la storia ci assegna, da tre quarti di secolo almeno.

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