Riecco le solite false accuse di «non pagare le tasse». In forma di invettiva digitale Ivecchi cronisti erano soliti dire che 'con i fatti non si litiga'. Ovvero: quando c’è la certezza dei dati, è inutile straparlare. L’antica regola è però oggi posta pesantemente in discussione dalle dinamiche comunicative dell’era social. Dove ognuno, nell’ambito della manciata di caratteri concessi da Twitter e simili, può diventare una fonte di notizie.
Tanto più autorevole, quanti più sono i suoi followers. Che poi quel qualcuno non abbia la minima competenza per addentrarsi in certe materie o si limiti a fare da megafono a bufale più volte smentite (anche su queste colonne) con documenti alla mano, sembra persino irrilevante. Sta succedendo anche in questi giorni, a margine del dibattito sulla nota verbale della Santa Sede in merito al ddl Zan. Poteva mancare la 'rappresaglia' economica dei santoni della tolleranza verso tutto e verso tutti, tranne che verso la Chiesa Cattolica? No che non poteva. In questi casi, tweet e post scattano quasi in automatico, come le rime banalotte di certi rapper o come quando si metteva il gettone nel juke box e partiva la musica.
E pure stavolta la solfa è la solita. Anche se porta un marchio di successo come quello di Fedez, che si improvvisa direttore del coro: «Il Vaticano che ha un debito stimato di 5 miliardi su tasse immobiliari mai pagate dal 2005 ad oggi per le strutture a fini commerciali dice all’Italia, guarda che con il Ddl Zan stai violando il Concordato». Peccato che il pagamento dell’Imu con il Concordato non c’entri niente, dato che in questa materia il Vaticano, le diocesi italiane, le parrocchie e tutti gli altri enti del mondo cattolico sono sottoposti alle stesse regole stabilite per le associazioni laiche, i partiti, i sindacati e naturalmente per gli immobili delle altre confessioni religiose. E pure alle stesse esenzioni, previste per l’intero ambito del non profit: quelle stesse esenzioni che permettono agli oratori di ospitare (anche in questo periodo) migliaia e migliaia di bambini e ragazzi che, in mancanza, sarebbero esposti alle insidie della strada o alla triste solitudine del confronto con uno schermo. Quelle esenzioni che consentono alle mense Caritas di distribuire sei milioni di pasti ai senza dimora, o a centinaia di strutture di accoglienza di prendersi cura in molti modi di chi è finito ai margini della società. L’Imu, dunque, quando dovuta in base alla legge italiana, è stata sempre pagata. Ma tant’è, da noi c’è – e grazie alla Costituzione, varata con il contributo determinante dei cattolici – libertà di opinione. La stessa che il ddl Zan minaccia di comprimere e non poco, ma questo è un altro discorso.
E perciò anche a chi è poco (o per niente) competente è possibile esprimersi. Detto questo, ci sia però permesso di rifarci nuovamente alla regola sempre valida dei vecchi cronisti e di ritornare a parlare di fatti. Accertati e verificabili da chiunque. Nel 2018 l’Apsa (l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (dunque 'il Vaticano') ha pagato al comune di Roma 5,4 milioni di euro per l’Imu e 338mila euro per la Tasi. Più 164mila euro per gli immobili fuori Roma. Più 3,3 milioni di euro per l’Ires. Più o meno le stesse cifre nel 2019. E nel 2020 5,95 milioni per l’Imu e 2,88 milioni per l’Ires.
A queste vanno aggiunte le imposte pagate dal Governatorato, da Propaganda Fide, dal Vicariato di Roma, dalla Cei, dalle diocesi e dai singoli enti religiosi per gli immobili di loro spettanza. Così è avvenuto anche negli anni precedenti a quelli citati e fin da quando l’imposta sugli immobili è stata istituita. Con questi fatti non si litiga. Dica piuttosto Fedez o chi per lui da dove spunta la cifra dei 5 miliardi di tasse non pagate. Mostri documenti e dati precisi, non le stime totalmente prive di fondamento (come 'Avvenire' a suo tempo ha dimostrato) di qualche esponente politico distintosi solo per il suo anticlericalismo. Perché le bufale, che oggi chiamiamo fake news, anche se ripetute milioni di volte sui social, non diventeranno mai verità. Mentre un fatto documentabile è, e resta, un fatto documentabile. Anche se a ribadirlo sono 'solo' banali tavole delle imposte e relative ricevute di pagamento, e non invettive digitali a effetto.