Se l’Europa deve difendersi da una montante tecnocrazia americana, determinata a dare battaglia contro norme e tasse imposte da Bruxelles ai giganti delle tecnologie, è importante conoscere bene i potenziali avversari. L’emergere di Elon Musk come ispiratore della politica del presidente americano che sarà in carica da lunedì prossimo ha portato a dipingere un quadro fosco di imprenditori miliardari coalizzati nel sostenere Donald Trump su una linea libertaria-autoritaria. Un cambio di atteggiamento della Silicon Valley finora di orientamento prevalentemente progressista che si è manifestato con le intemperanze e interferenze dello stesso Musk fuori dai confini americani, ma che va colto e interpretato in un quadro più articolato.
Il voto di novembre nelle contee delle industrie hi-tech californiane ha premiato ancora ampiamente la candidata democratica, Kamala Harris, benché Trump abbia migliorato rispetto alla sfida con Biden di quattro anni fa. La pattuglia di presunti suprematisti bianchi di origine sudafricana che tirerebbe le fila ideologiche del nuovo fronte è composta da Musk e da David Sacks (nuovo responsabile delle criptovalute per la Casa Bianca), effettivamente nati nel Paese dell’apartheid (fino al 1994), ma anche da Peter Thiel (di famiglia tedesca, vissuto solo per qualche anno da bambino in Africa, con studi negli Usa) e Vinny Lingham, sudafricano non bianco. Perché molte figure di spicco dell’innovazione hanno mutato il loro orientamento politico pubblico? Forse più del fascino politico di Trump, non nuovo sulla scena, ha pesato la proposta di riforma del sistema fiscale statunitense avanzata da Joe Biden e dal suo partito, in base alla quale tassare anche i guadagni di capitale non realizzati.
In altre parole, gli aumenti di valore di azioni, obbligazioni e proprietà, anche se non venduti, avrebbero dovuto essere soggetti a imposte, mentre di solito soltanto a plusvalenza incassata si deve pagare un’aliquota specifica (che il capo della Casa Bianca uscente voleva portare a un record del 44% per i più ricchi). Il candidato repubblicano ha cavalcato abilmente i timori accesi da questa potenziale svolta, facendosi paladino di un fisco favorevole ai magnati e di un allentamento delle regole a favore dello sviluppo di nuovi progetti e startup. Il resto lo hanno fatto le minacce neppure troppo velate dal leader rieletto a figure chiave come Jeff Bezos (Amazon) e Mark Zuckerberg (Facebook e Instagram), i quali hanno quindi deciso di allinearsi, rifiutando il primo un sostegno esplicito del Washington Post ad Harris prima del voto e smantellando il secondo i controlli sui contenuti delle sue piattaforme, per non limitare, a suo dire, la libertà di espressione.
C’è allora da chiedersi se è il duo Trump-Musk che vuole trascinare tutto il settore per colpire l’Unione Europea – che ha varato norme severe sulla privacy, l’uso dei dati, la diffusione di materiale illegale, la sorveglianza sulla disinformazione, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, l’elusione fiscale e lo sfruttamento di posizione dominante – o sono le imprese che vedono l’occasione di fare blocco con il governo per difendere i loro interessi economici.
È chiaro che l’Europa non può dormire sonni tranquilli, ma come mercato che accoglie circa un quarto dell’export tecnologico di origine americana resta in una posizione di forza che dovrebbe fare valere. Il liberismo propugnato da Trump che spazza via vincoli economici e legali (ma nello stesso tempo mette nel mirino TikTok come minaccia alla sicurezza nazionale) non piace di certo alla Cina e a tanti Paesi che rifiutano di essere “colonizzati” da monopolisti a stelle e strisce (a partire dai Brics). I benefici della regolamentazione Ue sono modelli per il resto del mondo, per la protezione dei consumatori e la creazione di un ambiente caratterizzato dalla trasparenza e dalla fiducia. Perciò, tali norme possono essere presentate non come un freno all’innovazione, ma all’opposto come un esempio di innovazione responsabile che salvaguarda i diritti dei cittadini. E venire estesa in altri contesti geografici, anche nella chiave di politiche antitrust su più vasta scala. Questo non ci esime dall’intensificare gli investimenti e i processi di ricerca e innovazione scientifica e tecnologica per rimanere in una condizione di arretratezza e dipendenza dal know-how e dalle infrastrutture straniera, come il caso dei sistemi di comunicazione Starlink di Musk (ancora lui) ci mostra in questi giorni. L’azione principale rimane quella politica. L’America che vuole tornare grande di Trump può ridurre il suo impegno militare, continuerà tuttavia ad avere bisogno di mercati oltre le proprie frontiere e sarebbe paradossale che mettesse in atto scelte economiche aggressive verso i principali alleati. Per questo è necessaria un’unità di visione e di intenti tra i ventisette Paesi membri, superando miopi tentativi di incamerare vantaggi nel breve periodo, e utilizzando appieno la forza di un continente di 450 milioni di persone che può ancora dettare il passo di un capitalismo sostenibile e non necessariamente destinato al declino. Soprattutto, bisogna respingere con determinazione e con efficacia i tentativi di utilizzare il mondo digitale per condizionare le opinioni pubbliche o le elezioni in modi subdoli o scorretti, diffondere messaggi che minino il sostegno alla liberal-democrazia o riducano il rispetto delle minoranze. D’altra parte, quanto sia delicato questo fronte lo indicano i numerosi attacchi hacker che sono arrivati dalla Russia su siti web strategici del nostro Paese in concomitanza con la visita del presidente ucraino a Roma. Più che gridare al lupo, dobbiamo farci cani da guardia, attenti e scaltri, delle nostre conquiste.
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