mercoledì 24 giugno 2009
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Caro Direttore,recentemente io e la mia famiglia abbiamo trascorso un bel pomeriggio a Venezia e abbiamo notato un fatto che ci ha fatto riflettere. Dopo aver posato lo sguardo su tante bellezze architettoniche che la magica atmosfera di quella città rende irresistibili ai turisti di tutto il mondo, siamo entrati in una chiesa (San Giacomo dell’Orio) per un breve momento di raccoglimento e di preghiera, come siamo soliti fare quando andiamo in gita. Appena oltrepassato il portone, una gentile signora seduta dietro a un tavolino ci ha detto «bisogna pagare, per entrare c’è un biglietto da pagare!». Ci siamo guardati attorno leggermente smarriti, pensando di aver sbagliato porta, un po’ insospettiti dalla presenza di un cordoncino rosso che ci impediva di proseguire nella navata. Ho chiesto: «Scusi, è una chiesa o un museo?»  e la risposta ci ha lasciati a metà tra lo stupore e l’indignazione: «È una chiesa, vi si celebrano le Sante Messe, ma se volete entrare bisogna pagare». Lo stupore era dovuto al fatto che non ci era mai capitata una cosa del genere, né in Italia né all’estero; l’indignazione ci toccava non come cittadini (il nostro Stato laico è libero di imporre tasse e gabelle a piacimento) ma in quanto cristiani, ed era rivolta contro chi aveva «affittato» quella casa di Dio agli amanti dell’arte per quattro denari, vietandone l’entrata ai semplici fedeli. Credo ci siano modi più idonei per reperire i mezzi necessari al restauro e al mantenimento di quella struttura, più rispettosi della sacralità del luogo, senza posporre in maniera così antipatica gli interessi religiosi a quelli di bottega. Forse ce lo siamo dimenticato, ma le nostre chiese non sono semplici luoghi di culto come le moschee per i musulmani o le sinagoghe per gli ebrei, bensì dei templi sacri, e la fiamma perenne del cero sta ad indicare la «presenza reale» di Dio nell’Eucaristia, almeno per i cattolici e gli ortodossi. Tanto di cappello ai ricchi mercanti veneziani che riempirono di templi e palazzi meravigliosi la città di San Marco, ma ricordiamoci che Gesù disse «fuori i mercanti dal Tempio».

Alberto Baldessari, Folgarìa (Tn)

Comprendo, caro Baldessari, che il trovarsi improvvisamente davanti a un «pedaggio» per entrare in chiesa possa aver sconcertato lei e la sua famiglia. Tuttavia l’istituzione di un ticket d’ingresso ai luoghi di culto – a Venezia così come in altre città storiche italiane, per esempio Firenze – non è cosa nuova, anzi è collaudata da circa un decennio di applicazione e, soprattutto, non è dovuta a esosità o speculazione. Le ragioni di tale scelta, presa non certo a cuor leggero, sono concrete e certificabili, e attengono alla necessità, da parte delle comunità ecclesiali, di reperire un flusso di risorse economiche certe per consentire la manutenzione e la custodia di questi insigni edifici, bellissimi ma esigenti di cure. Il patrimonio architettonico e artistico della Chiesa è un tesoro che – in termini meramente economici – non produce reddito, bensì ne assorbe, spesso ben al di là delle forze delle singole Chiese locali. Il caso di Venezia risulta emblematico, e sono certo che dopo aver letto le prossime righe, la sua ottica di valutazione della questione cambierà. La Serenissima, che vanta un contesto ambientale e culturale unico al mondo, ha visto progressivamente ma inesorabilmente diminuire la popolazione residente nel suo territorio comunale: dai 368.000 abitanti nel 1968, si è passati agli attuali 270.000 (il centro storico della città ha perso addirittura la metà dei suoi abitanti: erano 121mila nel 1966, sono 62mila oggi). Questo drastico ridimensionamento demografico  – come si può ben immaginare – non è senza conseguenze sulle casse del Patriarcato: le offerte vengono meno, ma i beni monumentali restano quelli che erano, e richiedono continui investimenti per restauri, conservazione, misure di sicurezza. A integrazione di queste considerazioni, il Patriarcato ci comunica che «l’uso dei luoghi di culto di Venezia è regolato da un Direttorio che, in particolare all’Art. 1, paragrafo 3, precisa: "L’Ordinario diocesano, nei suddetti luoghi (le chiese, Ndr) , in accordo con il responsabile legale degli stessi, può concedere la possibilità di introdurre un biglietto d’ingresso limitatamente alla fasce orarie non riservate al culto pubblico, nel rispetto delle vigenti norme canoniche e civili. L’introito sarà destinato a vantaggio della tutela e della conservazione del luogo stesso. In ogni caso deve essere garantita ai fedeli che lo desiderassero la possibilità dell’accesso gratuito in una cappella o in un settore della chiesa riservato per la preghiera". A oggi il biglietto è stato concesso solo in dodici chiese veneziane su 70 aperte al culto nella città di Venezia, 12 chiese che grazie ai ricavi di tale biglietto, possono restare aperte con un servizio regolare di custodia dalle 10 alle 17».
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