Gemma Urbani, Lucca
Qui nessuno pigola e nessuno inveisce, gentile signora Urbani. Mi piace chi sa parlare pacato e chiaro, e cerco di farlo a mia volta. Credo che lo testimoni anche ciò che a più riprese ho scritto negli ultimi mesi a proposito del cosiddetto "caso Ruby" (che nella sua lettera è evocato, ma non citato direttamente), delle sue implicazioni e del clima – diciamo così – culturale del quale è spia e frutto. Un clima di esaltazione, come lei dice, del «meretricio» o, per citare un’espressione usata pochi giorni fa dal cardinal Bagnasco, del «mercimonio di sé». Un clima che è quello della retorica delle libertà e della totale autodeterminazione di sé in qualunque campo. Un clima del quale molti – oggi politicamente schierati sia a destra che a sinistra e attivissimi sia sui giornali che in radio e tv – sono corresponsabili ed entusiasti fautori. Noi cristiani, assieme a tanti di coloro che si definiscono laici, abbiamo tutt’altra idea della libertà personale e dei diritti individuali. È una visione rispettosissima dell’una e degli altri, ma accompagnata dalla consapevolezza di ciò che li rende pieni e veri: il senso del limite morale e civile, il senso della comunità, il senso della responsabilità e della solidarietà. Perciò, forse, non è inutile confermarle che – da cittadino, da cattolico e da padre di due giovani donne – condivido pienamente la sua amarezza. Ma il senso d’impotenza no, non lo accetto. Condanne e assoluzioni non mi competono, le lascio ovviamente ai giudici (ai quali tutti possiamo e dobbiamo rendere conto, nelle sedi proprie) e ai direttori spirituali e confessori (che aiutano chi crede a fare utili esami di coscienza e a correggere i propri errori), ma la speranza compete a me quanto a lei. E mi hanno insegnato a sperare fortemente. Non mi rassegno proprio, e – anche solo da cronista, e da padre di famiglia – ogni giorno provo a fare la mia parte per un bel cambio di clima. Un cordiale saluto.
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