Caro direttore,
ho letto su 'Avvenire' del 28 luglio il bel testo dell’amico Franco Monaco che riflette sul problema della scarsa presenza, o dell’assenza, del cattolicesimo sociale sullo scenario politico, ancora più evidente dopo la grave perdita di Giovanni Bianchi. È vero, nel testo di Monaco manca un ragionamento sul Movimento 5 Stelle ma come non concordare quando constata la lontananza del cattolicesimo sociale dalla cultura del corso politico renziano «nel merito e soprattutto nel metodo»?
Detto ciò, mi fermo in sintesi sul punto 1 della sua replica dove lei, direttore, sostiene che le responsabilità per la mediocre presenza dei laici cristiani sulla scena pubblica dipenderebbero soprattutto da loro stessi, dalle loro scelte e «non dal ruolo pubblico svolto dai vescovi (...) che non può essere usato per spiegare e persino giustificare gli aventinismi o il disimpegno o gli errori di alcuni o di tanti». Questa opinione sembra a me, ma anche a un filone consistente dei cattolici democratici, del tutto insufficiente. È nostra convinzione, elaborata da tempo, che una delle cause dell’attuale insufficienza politica dei cattolici sui temi sociali (non su quelli etici, dove ce n’è fin troppa) è anche la conseguenza del come la Conferenza episcopale è intervenuta (più o meno direttamente, magari in forme non sempre o subito percepibili) nell’arena politica.
Questa opinione ritiene che il vertice della Cei (prima con Ruini e poi, in forme diverse, anche con Bagnasco) non abbia contrastato i tanti elementi di deriva anti-istituzionale, ben poco sociale e antipacifista del ventennio berlusconiano e degli anni successivi. Lo richiedeva, come diciamo spesso, il tenere il Vangelo nella mano destra e il giornale in quella sinistra insieme alla Costituzione. Certamente questa linea di vertice (a cui si è assommato il silenzio dei vescovi che dissentivano, ma solo privatamente) non ha costituito l’unica causa della situazione attuale, ma ha frenato, tamponato, mortificato, deviato energie. È mia opinione che la riflessione sui problemi che pone Monaco deve partire dai fatti del recente passato, da dopo Tangentopoli. Le belle parole, le esortazioni, gli auspici, le lamentele non servono a niente, è invece utile, anzi indispensabile, una forte revisione autocritica (e naturalmente non solo sulle responsabilità dei vescovi) ora che il nuovo corso di papa Francesco ha indicato la strada, particolarmente con il suo discorso all’assemblea della Chiesa italiana di Firenze.
Vittorio Bellavite coordinatore nazionale di 'Noi Siamo Chiesa'
Siamo e restiamo di avviso evidentemente diverso su questioni serie, caro professor Bellavite. A partire da quella della responsabilità (senza alibi) di noi laici nell’attuale «insufficienza politica » del contributo dei cattolici italiani al bene comune (nella sovrabbondanza della dedizione deliberatamente non politica e altrimenti pubblica di tanti di noi). Concordiamo però nella conclusione e nella individuazione di un gran nodo: «Le belle parole, le esortazioni, gli auspici, le lamentele non servono a niente, è invece utile, anzi indispensabile, una forte revisione autocritica (e naturalmente non solo sulle responsabilità dei vescovi) ora che il nuovo corso di papa Francesco ha indicato la strada, particolarmente con il suo discorso all’assemblea della Chiesa italiana di Firenze».
A questa riflessione, aggiungo, devono seguire con saggio senso di urgenza rinnovata proposta e ricominciato impegno. Anche con questa speranza seguo e faccio seguire con tanta attenzione il cammino verso la 48ª Settimana sociale dei cattolici italiani dedicata al tema del lavoro e che si terrà a Cagliari dal 26 al 29 ottobre 2017. Le riservo, infine, un ringraziamento speciale per aver richiamato l’immagine del credente con il Vangelo in una mano e il giornale nell’altra. A me piace pensare e dire l’'Avvenire'...
Marco Tarquinio