Mentre viviamo la seconda ondata della pandemia ciò che di drammatico è avvenuto negli istituti per gli anziani e più in generale per le persone fragili, ci fa capire che non si tratta solo di mettere qualche toppa al sistema di assistenza e cura esistente o, meno che mai, di attendere che passi la bufera per tornare alla “normalità”. Il Covid– 19 al contrario è l’occasione per una riflessione più generale su come considerare la presenza degli anziani nella nostra società e su come rispondere al meglio alle loro necessità. Nelle cosiddette Long Term Care Facilities – siano esse le anglosassoni nursing home, le nostre Rsa, le case di riposo più o meno registrate e controllate – si è registrato oltre il 50% delle morti, a livello planetario.
Mi sembra un punto di partenza adeguato da cui iniziare una riflessione per un profondo cambiamento. Molti istituti sono luoghi dove in diversi casi la fragilità dell’anziano viene privata delle protezioni offerte dalla casa, dai ricordi e dalla rete umana che si è sedimentata negli anni attorno a essa. L’isolamento ulteriore rappresentato dalle misure anti–Covid non ha certamente giovato. Ha anzi aggravato, trasformandola in vera e propria sindrome da abbandono la condizione di molti over70. Dovremo purtroppo constatare anche numerosi decessi legati all’abbandono.
Di questo abbondano già diverse evidenze. È davvero impossibile evitare che gli anziani istituzionalizzati restino isolati, senza alcuna possibilità non solo di visite ma spesso anche di comunicazione con video– immagini, così come è accaduto? Occorre al più presto intervenire – lo si doveva fare già nei mesi passati! – per favorire, una comunicazione che rompa l’isolamento, anche perché la condizione di chiusura de facto, che perdura da mesi nelle strutture per anziani, continuerà anche nei prossimi. Tenerne conto è necessario per introdurre una serie di interventi urgenti, forse complessi ma certamente possibili, così come altre realtà (la scuola tra tutte), hanno dimostrato. Il recente intervento del presidente dell’Emilia Romagna a favore di visite di parenti, se con tampone effettuato nelle ore precedenti, è un ulteriore stimolo a trovare soluzioni che coniughino sicurezza e umanità.
Associando a questa possibilità i volontari di tutte quelle comunità e associazioni, che già conoscono e hanno rapporti con gli anziani residenti, in particolare con quelli che sono rimasti senza famiglia. Il tutto in un rigoroso rispetto delle misure di prevenzione. Si tratta però anche di non insistere solo sull’istituzionalizzazione, come fosse l’unica risposta praticabile, in alcuni casi giudicata “inevitabile”. La sanità pubblica e la geriatria internazionali spingono da anni per un esteso continuum assistenziale, di cui le residenze rappresentano solo un tassello di un più ampio mosaico, che non può e non deve essere in alcun modo perno del sistema.
L’Assistenza domiciliare integrata rappresenta in Italia una quota irrisoria della assistenza: si stima mediamente 16 ore all’anno per anziano bisognoso. Questo impressionante squilibrio è sotto gli occhi di tutti. Fingiamo insomma di avere una assistenza territoriale, presso le dimore degli anziani, dimenticando che senza il milione (e più) di badanti che si occupano oggi degli over70 nel nostro Paese, tutto il sistema entrerebbe in una grave crisi di sostenibilità.
A questo si deve aggiungere la mancanza di centri diurni, di estese soluzioni di telemedicina, di servizi di lotta alla solitudine e all’isolamento sociale, insomma di quella articolazione di servizi che ci permette di uscire dalla logica dell’istituzionalizzazione per mera mancanza di alternative. È a questa condanna che ci si vuole opporre, serenamente ma fermamente. La lunga esperienza nel campo della Comunità di Sant’Egidio, dimostra che è possibile puntare sulla domiciliarità dell’assistenza e delle cure, come punto di arrivo per giungere a una migliore protezione della vita degli anziani evitando più agevolmente la “patologia” dell’isolamento. La creazione di reti umane e sociali attorno agli anziani, il cohousing e le case–famiglia, con il contributo degli stessi interessati, hanno creato modelli percorribili dimostrando che è possibile restare a casa propria anche in età avanzata e anche se si è rimasti soli.
Occorre quindi approfittare di quella che è un’emergenza trasformandola in occasione per ripensare tutto il sistema di assistenza, vicinanza, cura e la considerazione che dobbiamo agli anziani. Siamo ancora in tempo. Non perdiamolo perché sono in gioco non solo vite umane, ma anche un tesoro di umanità che non può essere sprecato o peggio “scartato”, come ha ripetuto più volte papa Francesco.
Presidente della Comunità di Sant’Egidio