Egon Tschirch, Il Cantico dei Cantici nr.11 (1923), particolare - undefined
A tempo opportuno anche Amore si leva All’ora in cui la terra, divenuta feconda, si riveste dei fiori di primavera Allora Eros, lasciata Cipro, l’isola bellissima, se ne va tra i mortali, versando gioia sulla terra (Teognide, Framm.1275 )
«Alzati, amica mia, mia bella e vieni, presto! Perché, ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia, se n’è andata, i fiori sono apparsi nei campi; il tempo del canto è tornato. La voce della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna» (Ct 2,10-12). C’è un’età della vita che spesso sopraggiunge sorprendendo e spiazzando anche chi ne è direttamente coinvolto: quella che dall’infanzia si dissolve nell’adolescenza e quindi nel primo assaggio di gioventù. Un tempo in cui la natura dinamica del corpo si manifesta sino al punto che sembra succedere un’altra nascita, l’insorgere di una nuova identità. È la stagione sulla quale il Cantico dei Cantici concentra il suo interesse mettendo in scena un dramma amoroso che ha per protagonisti due soli attori – lei e lui – i cui monologhi e duetti sono sostenuti e illuminati dalle voci di un coro. La musica di sottofondo è quella del rumore dei piedi che corrono e, prima ancora, di una corsa metaforica che si accende nella mente e nell’anima di lei irrefrenabile nella ricerca di lui, del suo viso, le sue mani, il suo profumo. La donna è quella che prende l’iniziativa, che esce per prima dal sonno dell’inverno. Pare persino che sia la brama di cui freme il suo corpo a ispirare e trascinare con sé la primavera.
Si dice che l’adolescenza sia l’età delle tempeste ormonali e, in effetti la sessualità è la cifra eletta anche dal Cantico quando intende descrivere questo esondare che rapisce la vita quando inizia a gemmare. Quando scopre l’assoluto della sua nudità, l’essere cavità di desiderio, vuoto che può essere colmato soltanto dall’altro. A differenza di come accade, però, nell’esperienza reale, questo desiderio, questo estraniarsi da sé, nel Cantico esige molto tempo, un lento, prudente sporgersi per avvicinarsi; è un’avventura, un rischio, un viaggio nel quale avverranno irreversibili trasfor-mazioni. Salire quel limitare di gioventù vuol dire specialmente prepararsi a un incontro.
Un’attenzione fatta d’immaginazione, di attesa, di visione, del percepire il suono della sua voce: è quella dell’amato, che lei sente e riconosce prima ancora di averla mai realmente udita. La voce della corrispondenza della vita alla vita, dell’anelito all’anelito. Il corpo è differenza – che nel Cantico è espressa da maschile e femminile – proprio perché l’esperienza dell’amore è viaggio verso ciò che non puoi trovare in te stesso, affrontare l’ignoto, scoprire la terra sconosciuta in cui potrai intonare un canto a due voci che mai si escludono né si sovrappongono né si confondono. Tentare la libertà oltre la siepe dell’anonimato, del narcisismo e della tentazione del possesso.
La vita dell’uno e la vita dell’altro
La tensione all’“essere per” che il corpo raggiunge nella sua giovinezza trova interpretazione nella consapevolezza spirituale che «la vita dell’uno è legata alla vita dell’altro » (Gen 44,30). Il corpo esprime questo legame nell’istinto stesso che gli fa avvertire nell’altro l’approdo del suo desiderio. Pertanto esso si rivela a sé stesso abbracciandosi all’altro. Quando oggi sentiamo spesso dire “mi amo”, “trovo piacere con me stesso”, o vediamo anziani signori rubare la giovinezza a giovani donne in cambio di denaro, assistiamo al triste soffocamento del respiro del corpo costretto a far ricadere su sé stesso la spinta espansiva della vita, oppure a vedersi espropriare lo spazio in cui aprirsi, svilupparsi, nuotare fino a perdersi. Il racconto di creazione di Genesi 1 rivela che ogni cosa viene all’essere in rapporto a un’altra. I verbi usati dal narratore del racconto biblico sono due: parlare e distinguere, come se la parola fosse lo strumento della separazione, e, allo stesso tempo, della ri-conciliazione. «Dio disse: sia la luce e la luce fu (...) Dio separò la luce dalle tenebre» (Gen 1,3-4). La volontà espressa con la parola diventa realtà nell’atto del distinguere: non c’è la luce senza le tenebre, né il cielo senza la terra, né il mare senza l’asciutto. L’universo materiale nasce insieme al processo linguistico; il nome insieme alla creatura. La Parola è un’anima della materia e quest’ultima non viene neppure a esistere senza di lei. Per questo, nella loro stessa origine, le cose create sono un processo, un mondo in movimento, in divenire. Se tutto vive nella distinzione, tutto procede verso la con-versione: la luce verso le tenebre, il mare verso l’asciutto, il maschio verso la femmina.
Molti testi fanno riecheggiare il canto e l’armonia del creato, nel ritornello delle coppie uscite dalla parola di Dio; tra loro il litanico Cantico dei tre fanciulli del libro del profeta Daniele: «Benedite, fuoco e calore, il Signore... benedite, freddo e caldo, il Signore... benedite, rugiada e brina, il Signore... benedite, notti e giorni, il Signore, benedite, luce e tenebre, il Signore». Senza mettersi in relazione l’identità muore di smarrimento. Così Egli, il Trascendente, insegnò all’uno la via dell’altro, ovverosia a trascendere sé stesso per aprirsi a una comune intimità. A sollevarsi da un assoluto amor sui per innestarsi in un’etica d’amore.
Quando Israele era giovinetto
«Quando Israele era giovinetto io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio»: così appare Israele nelle parole del profeta Osea (cf. 11,1). La primizia di quell’amore paterno e divino è intercettata negli anni dell’adolescenza metaforicamente resa con quella di un ragazzo. A dire che sia stata proprio quell’età a manifestare a Israele il primo sapore di un Amore che resterà fedele per sempre. In un altro testo profetico la metafora usata per parlare del popolo di Dio, degli abitanti di Gerusalemme, è invece quella di una bambina, una neonata, che i genitori hanno gettato via «in aperta campagna». La bontà di Dio fa in modo che ella possa sfuggire alla morte, finché «crescesti, ti facesti grande e giungesti al fiore della tua giovinezza. Il tuo petto divenne fiorente ed eri giunta ormai alla pubertà... Passai vicino a te e ti vidi: ecco, la tua era l’età dell’amore» (Ezechiele 16,6b-8). L’adolescenza è dunque l’età in cui, usciti dalle dipendenze della minorità, si può essere liberi per amare. Per accogliere il dono dell’altro e farsi dono per lui. Molti sono gli esempi di ragazzi adolescenti che vengono chiamati da Dio per essere re o profeti, sognatori di governi di pace: David, Geremia, Giuseppe figlio di Giacobbe e Rachele. Quest’ultimo aveva diciassette anni quando iniziò a sognare!
Cresima
Com’è noto, il nome di questo sacramento dell’iniziazione cristiana deriva dal greco chrisma, che significa “unzione”. Un segno che, nella Bibbia, è sempre legato a un compito, a un ruolo, a una vocazione all’interno di una Comunità. I simboli di questo sacramento derivano in special modo dalla Pentecoste e indicano che è giunta l’età di essere adulti, protagonisti della vita cristiana. Essa irrompe come il vento di marzo, come i colori della primavera; trascina via gli impacci dell’infanzia con la sua forza d’uragano. Il cresimando diventa capace di ascolto e di parola, di navigare ogni lingua del mondo pur di comunicare e di unire i vicini ai lontani. C’è un fuoco che lo accende: la passione per la vita, il desiderio di amare, l’urgenza di un vangelo da annunciare sulle attese dell’umanità. Ed ecco il valore e il senso della cosiddetta crismazione: il segno che la vita adulta è fatta di un carisma che dà la dignità di una missione. Che si è pienamente innestati in una Comunità con un preciso volto e un relativo compito. Che da oggi non si è più esecutori ma collaboratori al bene di tutti nella Chiesa e nel mondo. Un sacramento che chiede, pertanto, tempo e arte di preparazione, perché vuol dire aprire una prospettiva nuova, imprimere una direzione mentale e spirituale critica rispetto a quella che oggi è, per molti, quella ordinaria. Proprio come nel titolo del testo di Seneca che i maturandi hanno avuto nella versione di latino del secondo scritto al liceo classico per l’esame di maturità: «Chi è saggio non segue il volgo»! Ispirare il rovesciamento di un orizzonte cieco: da un pensare a “realizzare sé stessi” all’aprirsi a costruire un “noi”; dall’intendere la propria libertà come separazione da quella degli altri al vivere la propria libertà come legame con quella degli altri. Dall’aspirare a isole etniche, culturali, sociali e politiche a farsi mattoni di una casa comune.