Immedesimazione. È l’unica parola che può aiutarci a entrare nelle vite preziose eppure sfregiate di centinaia di migliaia di iracheni, tanti i nostri fratelli di fede, che vivono nei campi profughi del Kurdistan. L’unica che ci può indurre a muoverci ancora, a trovare altre risorse per aiutarli, ora che stanno affrontando il secondo inverno lontano dalle loro case che forse non rivedranno più. Proviamo a immedesimarci in quella gente bisognosa di tutto, come se fossero madri e padri nostri, figli e amici nostri. Come se fossimo noi. Nei primi tempi – all’indomani della fuga da Mosul e dalla Piana di Ninive sotto l’incalzare della violenza devastatrice dei miliziani dello Stato Islamico nell’estate dell’anno scorso – molti di loro avevano creduto e sperato di poter fare ritorno nella loro terra. Così non è stato, e forse così non sarà mai. Li attende un futuro da esuli, nel Kurdistan dove hanno trovato rifugio, o nei Paesi vicini già affollati da altri come loro. Per questo Focsiv e Avvenire rilanciano la campagna di solidarietà che già aveva raggiunto risultati significativi, ma che proprio in ragione della perdurante gravità della situazione non può considerarsi esaurita.Non lasciamoli soli. Non lasciamo che l’ultima parola sia la rassegnazione. Non rassegniamoci all’idea che il destino di queste persone sia irrimediabilmente segnato dalla logica di chi, come l’Is, porta nel suo codice genetico la volontà di distruggere la diversità, di cancellare quel mosaico di popoli che ha rappresentato per secoli l’originalità del Medio Oriente. I vescovi del Vicino Oriente ci chiedono a una sola voce di aiutare il loro popolo a «restare», a non strappare definitivamente le radici da una terra di millenaria e vivificante presenza cristiana. Ed è un fatto terribile che cristiani, yazidi, ma anche tanti musulmani, sono morti in questi mesi a causa della furia nichilista che abbatte le croci sui campanili per issare la bandiera nera, che distrugge un patrimonio archeologico di inestimabile valore o ne fa mercato con acquirenti compiacenti, che ormai da tempo è una minaccia aperta anche per un Occidente che oscilla tra indifferenza e complicità. Il Kurdistan iracheno è l’epicentro degli interventi umanitari promossi da Focsiv e Avvenire, ma in questa nuova fase il fronte si allarga alla Siria e al Libano. Ad Aleppo, la Sarajevo del ventunesimo secolo, città martire del conflitto più sanguinoso tra quelli che si stanno combattendo nel mondo, aumenta il numero degli sfollati ma continuano a fiorire testimonianze di amicizia e di solidarietà, come quella che vede lavorare insieme i maristi blu e gruppi di giovani islamici impegnati a servire le necessità elementari della popolazione. Anche a Beirut le suore del Buon Pastore portano aiuto a profughi iracheni e siriani, cristiani e musulmani. Costruttori di pace che operano a fianco di chi la guerra non l’ha voluta, ma ne sta pagando il prezzo. In nome di quella fede cristiana che educa a guardare l’altro come parte di me.
E noi? A noi cosa chiede questa emergenza senza fine, cosa evoca nelle menti e nei cuori questo cambiamento epocale di cui forse non siamo ancora consapevoli ma che la storia ci mette davanti agli occhi e che non possiamo fare a meno di affrontare? Possiamo fare molto, ognuno per la responsabilità che è capace di prendersi sulle spalle. Possiamo pregare perché Dio tocchi il cuore e illumini le menti di chi semina odio e violenza e di chi regge le sorti delle nazioni - tante, anche la nostra - implicate in uno scenario sempre più interconnesso. Possiamo prendere coscienza che quanto sta accadendo ci riguarda molto da vicino, se pensiamo alla capacità dei terroristi di colpire anche a casa nostra e se guardiamo al flusso di profughi che a casa nostra è arrivato. Possiamo rinunciare a qualcosa che forse non è così indispensabile come pensiamo, per donare qualcosa a chi è rimasto letteralmente senza nulla. Possiamo immedesimarci.