Fra le armi della diplomazia deve essere compreso pure l’offendersi. Non l’offendere, ma usare l’onta subita come strumento politico. E l’Unione Europea razionale e ragionevole, abituata alle mediazioni, ha bisogno di riscoprire un sentimento che può essere utilmente incanalato nelle relazioni internazionali. Si doveva offendere, martedì, Charles Michel, presidente del Consiglio Ue fatto sedere in poltrona a fianco dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan, mentre la leader (donna) della Commissione di Bruxelles era invitata a prendere parte ai colloqui da un divano più distante, a fronte del ministro degli Esteri di Ankara. Si è offesa Ursula von der Leyen, lo si intuisce dal video circolato in maniera virale solo ieri mattina, ma non lo ha manifestato indirettamente attraverso il suo portavoce se non quando il caso è esploso.
Eppure, il protocollo delle visite dovrebbe essere chiaro. Si trova in Rete un precedente eloquente: nel 2015, lo stesso Erdogan ricevette Jean-Claude Juncker e Donald Tusk, due uomini, predecessori di Von der Leyen e Michel, e li fece accomodare sullo stesso tipo di seduta vicino a sé. Il protocollo ufficiale può essere soltanto una cortesia di facciata, ma a volte nasconde elementi sostanziali. Troppo facile richiamare ora il fatto che la Turchia ha appena lasciato la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne. Offendersi significa non permettere che uno strappo al cerimoniale diventi pubblica accettazione di un trattamento irrispettoso e sostanzialmente inaccettabile. Quello che ci dice il 'sofa-gate' ('il caso del divano', come è già stato etichettato) riguarda il merito di un atteggiamento che non possiamo tollerare perché va a braccetto con una serie di altre violazioni dei diritti, queste sì concretissime e non solo formali, che il governo di Erdogan va compiendo. Con tutti si deve discutere e trattare, ma non con tutti si può abbozzare.
Tollerare che la guida di una delle istituzioni europee sia oggetto di una discriminazione perché donna (anche se ora qualche giustificazione sarà accampata per smentire questa lettura dell’episodio) può essere una metafora di peggiori concessioni. Offendersi, tutti, è pertanto la risposta corretta a un affronto che forse è proprio mirato a misurare la fermezza dell’interlocutore.
La delegazione europea si era presentata ad Ankara disposta a riallacciare un faticoso dialogo, reso impervio negli ultimi anni dall’espansionismo turco nel Mediterraneo – le trivellazioni in acque cipriote e greche e la penetrazione in Libia –, dalla dura repressione dell’opposizione interna e della minoranza curda e dal ricatto continuamente esercitato sul tema migranti. Il Paese asiatico ospita circa quattro milioni di profughi in prevalenza siriani in fuga dalla guerra, per i quali ha già ottenuto 6 miliardi di euro dall’Unione. Adesso vorrebbe una nuova tranche di finanziamenti per dare la garanzia di non aprire le frontiere e fare partire i migranti verso l’Europa. In cambio di questo 'filtro' altre contropartite potrebbero arrivare da Bruxelles nel summit programmato per giugno. Se non ci offendiamo per lo sgarbo, significa che di Erdogan abbiamo bisogno fino a quel punto?
Il progetto di ingresso della Turchia nella Ue è oggi ormai tramontato, eppure sembra sbagliata anche la disponibilità a forme rafforzate di partnership davanti a un interlocutore che non accetta – anzi, ribadisce pubblicamente di rifiutare – valori e obiettivi a noi cari, a partire dal rispetto delle donne.
Nel giorno in cui il premier pachistano Imran Khan ha ricondotto la crescita degli stupri nel suo Paese al modo volgare di vestire delle donne, che creano tentazioni negli uomini, offendersi è la reazione adeguata, non soltanto emotiva e transitoria, ma come atteggiamento che guida una giustificata e ferma risposta. Come quella che, per esempio, l’Europa ha dato alla Cina sulla persecuzione degli uighuri nello Xinjiang, varando sanzioni che hanno punto sul vivo Pechino. A dimostrazione che l’Unione prende sul serio la difesa dei diritti umani nel mondo. La capacità di offendersi può costituire lo stimolo per essere sempre coerenti e non cedere all’opportunismo che qualche volta induce a sopportare in silenzio. Era già accaduto all’inizio di febbraio con l’Alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell, preso a male parole durante un viaggio a Mosca, mentre la Russia, senza avvertirlo, espelleva alcuni diplomatici comunitari.
Anche allora nessuna indignazione manifesta. Un segnale di debolezza, forse sperando che fare finta di nulla e non rompere gli equilibri paghi più di una reazione piccata. Le relazioni internazionali non si fanno con clamorosi abbandoni di un vertice delicato, è ovvio. Ma una diplomazia efficace e di cui essere orgogliosi – ecco un altro sentimento del quale sentiamo talvolta la mancanza – passa dal sapersi offendere nel modo giusto. 'Signor presidente Erdogan, serve una poltrona per la presidente Von der Leyen. Subito'.