La furia cieca del Daesh si è accanita fin dall’inizio della sua campagna di conquista territoriale in Iraq e in Siria sulle donne e sulle bambine. «Eretiche»: cristiane, yazide, musulmane sciite. Creature strappate alle famiglie di origine – spesso trucidate sul posto davanti agli occhi delle prigioniere – e costrette alla conversione all’islam sunnita nella sua versione più rigorista e morbosa. E, nonostante questa sottomissione forzata, considerate alla stregua di oggetti. Da vendere. “Passare di mano”, in un vortice di abusi psicologici e fisici infernale.
Al loro supplizio, attestano svariate fonti, hanno contribuito pure le mogli dei combattenti islamisti, responsabili della gestione dei civili catturati. Ora, la cronaca delle ultime settimane di battaglia fra esercito iracheno e miliziani islamisti a Mosul sta riportando alla luce il dramma delle schiave mediorientali. Man mano che gli jihadisti vengono scalzati dai quartieri di quella che fu la seconda città irachena, le forze speciali di Baghdad si imbattono in centri di detenzione dello Stato islamico e vi trovano giovani donne incarcerate. Quasi tutte provengono da Sinjar e Ninive e fanno parte del “bottino” degli islamisti razziato nell’estate del 2014. All’appello, tuttavia, ne mancano ancora migliaia e migliaia: le sole yazide, secondo le autorità, sarebbero almeno duemila. È probabile che molte, insieme a migliaia di cristiane, si trovino a Raqqa, cuore del cosiddetto “Califfato”, ma non solo. Dei loro servigi, gli jihadisti neri hanno avuto bisogno in tutti gli scenari di guerra in cui sono operativi.
Per quelle che stanno riguadagnando la libertà – ecco la tragedia nella tragedia – il futuro potrebbe essere ancora molto triste: l’aver condiviso il destino degli uomini di al-Baghdadi e, in alcuni casi, l’aver portato in grembo i figli degli jihadisti le rende sospette agli occhi delle autorità irachene, siriane, curde. In Libia, dove i miliziani del Daesh hanno potuto contare su schiave sudanesi, eritree, tunisine, siriane, irachene, le forze governative sono in forte difficoltà. Fonti giornalistiche testimoniano il «transito» delle donne liberate dalle prigioni di Sirte e Derna, roccaforti jihadiste, a quelle governative: si teme che fra di esse ve ne siano alcune effettivamente radicalizzate. Il rischio che su queste donne e sui loro bambini pesi per sempre il dubbio è reale e non fa sperare niente di buono per il dopo-Daesh.