Ad attirare su di loro la brutale vendetta dei taleban è stata quella macchia violetta di inchiostro sulla punta dell’indice destro. La prova tangibile che i due avevano trasgredito al ferreo diktat proclamato senza sosta dalla furia integralista negli ultimi giorni della difficile campagna elettorale afghana. Gli estremisti erano stati fin troppo espliciti: state lontano dalle urne o vi mozzeremo le dita. Non si trattava solo di parole. Giovedì, il giorno del voto, a Kandahar – roccaforte meridionale degli studenti coranici – un commando di uomini armati ha aggredito due persone appena fuori dal seggio, le ha immobilizzate e ha mozzato loro, di netto, gli indici. L’episodio è accaduto in pieno pomeriggio, di fronte agli occhi sbigottiti degli osservatori della Free and Fair Election Foundation (Fefa), associazione afghana indipendente che ha monitorato lo svolgimento delle operazioni elettorali. Il presidente della Fefa, Nader Nadery – che ha denunciato il fatto – ha precisato: «Non sappiamo chi sia stato ma i taleban avevano minacciato iniziative di questo tipo». Quella di Kandahar, purtroppo, non è stata un’eccezione. Secondo la Fefa ci sono state «minacce di violenza contro i votanti da parte dei fondamentalisti in molte parti del Paese». A queste si aggiungono – scrive la fondazione – i molteplici attacchi mirati contro i seggi che hanno costretti parecchi a chiudere. Nella provincia di Wardak quasi tutte le postazioni lontane dai centri urbani non hanno potuto funzionare; in quella di Uruzgan, delle 36 cabine riservate alle donne solo sei sono state aperte. Il punto più critico resta la partecipazione femminile: ovunque è stata inferiore a quella maschile e le donne che sono andate hanno, spesso, espresso la preferenza “suggerita” dal capo famiglia. Del resto era prevedibile. Come ha ribadito l’inviato Usa Holbrooke, l’Afghanistan, anche dopo i progressi fatti dal 2001, rimane «il Paese più tradizionalista al mondo» e il ruolo delle donne «non può cambiare dal giorno alla notte». Nonostante le molte ombre – a detta delle principali organizzazioni – il voto afghano rappresenta comunque un successo. Gli stessi 7mila osservatori della Fefa – molto puntuali nel denunciare nel rapporto irregolarità, schede date a minorenni, difficoltà tecniche e pressioni sugli scrutatori – hanno definito la giornata del 20 agosto «un importante passo avanti nella costruzione di un Afghanistan democratico». Più enfatica la missione di osservazione dell’Ue. Per il capo, Philippe Morillon, le ultime elezioni sono state «una vittoria per il popolo afghano». Il voto è stato «corretto» anche se – ha ammesso la delegazione – non del tutto libero, a causa «del terrore instauratosi in alcune parti». I “buchi neri” sono il Sud e l’Est, in parte controllati dai taleban: qui l’affluenza è stata bassa, alcune stime provvisorie parlano un tasso inferiore al 10 per cento. Mentre – ha ribadito la Missione Ue – nel centro e nel Nord il numero dei votanti sarebbe stato maggiore, tra il 40 e il 50 per cento. Il dibattito sulle condizioni del voto si somma a quello sul dopo elezioni. Venerdì i due candidati principali – Karzai e Abdullah – avevano entrambi annunciato la vittoria. La sortita aveva preoccupato non poco la comunità internazionale: un duello politico infuocato potrebbe far precipitare il Paese in un caos ancora peggiore di quello in cui si trova. Appelli alla moderazione e ad astenersi da prematuri proclami si sono susseguiti nelle ultime 48 ore. Ultimo quello di Morillon che aveva invitato i rivali a «calmare i sostenitori. Occorre che attendiamo con pazienza i risultati della procedura elettorale». Alla fine, dopo un colloquio con l’inviato Usa Holbrooke, i due avrebbero fatto un passo indietro. «Karzai e Abdullah hanno detto che rispetteranno i risultati», ha affermato il delegato statunitense. Lo spettro di un nuovo fronte di guerra tra pashtun, di cui è espressione Karzai, e tagiki, rappresentati da Abdullah – che si andrebbe ad aggiungere ai vari conflitti etnico-religiosi in corso – sembra momentaneamente allontanato. Anche se l’ultimo annuncio dell’agenzia
Pajhowok, che darebbe il presidente in carica al 70 per cento, potrebbe ravvivare le tensioni. Abdullah si è rifiutato di commentare ma i sostenitori di Karzai hanno parlato di vittoria sicura. Continua, intanto, l’altra guerra, quella dei taleban contro il governo «filo occidentale». Un kamikaze, a Jalalabad, ha ucciso tre poliziotti, mentre una bomba ha massacrato quattro militari a Baghlam. E il numero di vittime, in questi giorni di tensione, potrebbe salire ancora.