Attacco israeliano a Beirut - Reuters
«Speriamo non ci siano passi indietro» era stato il commento del ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, che esprimeva la diffusa preoccupazione internazionale per qualche trappola notturna prima del voto di oggi, quando il gabinetto di guerra israeliano doveva esprimersi sul cessate il fuoco con Hazbollah. E alla fine le cose sembrano per la prima volta aver preso la direzione giusta: la tregua secondo le prima informazioni diffuse dai media libanesi entrerà in vigore domani mattina alle 10, ora locale, un'ora in meno in Italia.
Per l’Amministrazione Biden era l’ultima chance: mostrarsi ancora influente nel Medio Oriente oppure passare alla storia per non essere riuscita a fermare né il bagno di sangue a Gaza né il conflitto che dal confine libanese si è inoltrato a colpi di caccia e missili fino alla capitale Beirut e al territorio siriano. Un patto per il Libano potrebbe però creare un precedente che la comunità internazionale potrebbe voler replicare anche a Gaza. Un’altra mossa dell’uscente Biden per minare i piani di Donald Trump che a Israele ha invece promesso “mano libera” nella Striscia.
Le ostilità si sono intensificate parallelamente alla pressione diplomatica. Nel fine settimana, Israele ha effettuato potenti attacchi aerei, uno dei quali ha ucciso almeno 29 persone nel centro di Beirut, mentre Hezbollah, sostenuto dall’Iran, ha scatenato una raffica di 250 razzi, mettendo a dura prova la contraerea israeliana. Mentre da Teheran la Guida suprema Ali Khamenei parlando alle milizie Basijis ha rinnovato le consuete minacce: «Deve essere emessa una sentenza di morte per Netanyahu e per i leader criminali di questo regime».
La diplomazia si è concentrata sul ripristino del cessate il fuoco basato sulla Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che aveva posto fine alla guerra Hezbollah-Israele del 2006. La risoluzione prevede che Hezbollah ritiri i suoi combattenti a circa 30 chilometri dal confine israeliano. Funzionari israeliani avevano riferito che l’intesa non è lontana, «anche se ci sono questioni ancora da risolvere». Uno dei nodi è il ruolo di Unifil, la missione internazionale Onu. Tra le proposte messe in circolazione vi è l’immissione di un nuovo contingente composto da forze arabe in cui avrebbero un ruolo anche gli Usa. Di fatto, un esautoramento di Unifil e dell’Onu.
A dare la misura dell’avanzamento del dialogo era stato il campo di battaglia. Come di consueto prima del possibile ordine di togliere il dito dal grilletto, le parti in conflitto hanno aumentato l’intensità dello scontro per ottenere vantaggi negoziali regolare conti. A Beirut ieri gli attacchi aerei israeliani hanno raso al suolo altri sobborghi meridionali controllati da Hezbollah, e altri edifici in zone semicentrali, avvolgendo la capitale in una nube di polvere e detriti. Il ministero della Sanità libanese afferma che gli attacchi israeliani hanno ucciso 3.768 persone in Libano e hanno costretto più di un milione di persone ad abbandonare le loro case. I dati sulle vittime non distinguono tra civili e combattenti. Gli attacchi di Hezbollah hanno ucciso 45 civili e 73 soldati nel nord di Israele.
Qualsiasi patto per il cessate il fuoco espone il governo Netanyahu a nuove spaccature. Il ministro della Sicurezza nazionale, l’esponente di estrema destra Itamar Ben-Gvir, ha già avvertito il premier: «Israele deve continuare fino alla vittoria assoluta. Non è troppo tardi per fermare questo accordo». Al contrario il ministro dell’Agricoltura Avi Dichter sostiene la necessità di una intesa. Uno sviluppo negoziale getterebbe le basi per un rilancio nei colloqui per Gaza, dove le armi non smettono di scandire le giornate quando le temperature si stanno drasticamente abbassando e dove centinaia di migliaia di civili restano senza protezione e assistenza umanitaria.