L'APPELLO Il Papa: «I responsabili delle bombe renderanno conto a Dio»Yahia Mohammed ha vissuto con sorpresa il raid perché finora il suo quartiere, Ballat, non era mai stato al centro del conflitto. «Ho preso mia moglie e i miei figli e ci siamo diretti verso il quartiere Kadi Askar. Proprio quando stavamo per arrivare abbiamo visto cadere due barili bomba. La cosa orribile è che queste bombe non solo esplodono, ma vibrano anche, come un terremoto». L’uomo compie poi un terzo tentativo di fuga, andato male anche quello. «A quel punto – ammette rassegnato – mi sono fermato dov’ero. Ho pensato: o muoio o Dio mi concede di vivere ancora». Sono i momenti di calma che riflettono ancora più drammaticamente la disperazione di Aleppo. Dalla fallita tregua, negli ultimi otto giorni, secondo l’Osservatorio siriano dei diritti umani sono morte 248 persone ad Aleppo. La speranza della popolazione è che i ribelli accettino un salvacondotto per ritirarsi, come avvenuto a Homs e in alcune zone periferiche di Damasco. Ma finora in Siria ogni punto di accordo tra le due parti in conflitto è dovuto passare sul corpo di migliaia di vittime, per lo più civili. In cinque anni di guerra, ci sono stati negoziati sottobanco, tregue locali, salvacondotti, affari nel mercato nero delle armi, scambi di prigionieri e ingenti spostamenti di ribelli con famiglie a seguito, a dimostrazione del fatto che i contatti ci sono e un dialogo tra governativi e ribelli, seppure opportunistico, è possibile. La sensazione da parte degli abitanti di Aleppo è che il regime di Assad, forte dell’appoggio russo, stia approfittando dell’attenzione della comunità internazionale per aumentare al massimo il proprio potere negoziale. Con buona pace di chi vede morire i propri figli «piano piano».
Le testimonianze dei civili, ridotti ormai allo stremo. «Continuano a mancare medici e acqua pulita».
DOMANDE & RISPOSTE SU ALEPPO
L'APPELLO Il Papa: «I responsabili delle bombe renderanno conto a Dio»
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L'APPELLO Il Papa: «I responsabili delle bombe renderanno conto a Dio»
L'APPELLO Il Papa: «I responsabili delle bombe renderanno conto a Dio»Yahia Mohammed ha vissuto con sorpresa il raid perché finora il suo quartiere, Ballat, non era mai stato al centro del conflitto. «Ho preso mia moglie e i miei figli e ci siamo diretti verso il quartiere Kadi Askar. Proprio quando stavamo per arrivare abbiamo visto cadere due barili bomba. La cosa orribile è che queste bombe non solo esplodono, ma vibrano anche, come un terremoto». L’uomo compie poi un terzo tentativo di fuga, andato male anche quello. «A quel punto – ammette rassegnato – mi sono fermato dov’ero. Ho pensato: o muoio o Dio mi concede di vivere ancora». Sono i momenti di calma che riflettono ancora più drammaticamente la disperazione di Aleppo. Dalla fallita tregua, negli ultimi otto giorni, secondo l’Osservatorio siriano dei diritti umani sono morte 248 persone ad Aleppo. La speranza della popolazione è che i ribelli accettino un salvacondotto per ritirarsi, come avvenuto a Homs e in alcune zone periferiche di Damasco. Ma finora in Siria ogni punto di accordo tra le due parti in conflitto è dovuto passare sul corpo di migliaia di vittime, per lo più civili. In cinque anni di guerra, ci sono stati negoziati sottobanco, tregue locali, salvacondotti, affari nel mercato nero delle armi, scambi di prigionieri e ingenti spostamenti di ribelli con famiglie a seguito, a dimostrazione del fatto che i contatti ci sono e un dialogo tra governativi e ribelli, seppure opportunistico, è possibile. La sensazione da parte degli abitanti di Aleppo è che il regime di Assad, forte dell’appoggio russo, stia approfittando dell’attenzione della comunità internazionale per aumentare al massimo il proprio potere negoziale. Con buona pace di chi vede morire i propri figli «piano piano».
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