sabato 4 novembre 2023
Farmaci scarsi. Tagliati i posti in oncologia. Cure difficili da garantire. All’istituto tumori di Kiev crolla il tasso di sopravvivenza. Inaugurata la casa-famiglia donata dall'Italia con Soleterre
I bambini malati di cancro in Ucraina con Damiano Rizzi, presidente della fondazione Soleterre che ha appena inaugurato una casa-famiglia a Kiev per i piccoli pazienti

I bambini malati di cancro in Ucraina con Damiano Rizzi, presidente della fondazione Soleterre che ha appena inaugurato una casa-famiglia a Kiev per i piccoli pazienti - Avvenire-Soleterre

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«Siamo più sereni noi qui a Kiev che mio marito a Zaporizhzhia». Prova a scherzare Anastasia Andreevna. Ma il suo è un sorriso amaro. È vero che la capitale dell’Ucraina è più sicura e al riparo dai bombardamenti russi rispetto alla città nel Sud del Paese che è a meno di cinquanta chilometri dal fronte e dove gli attacchi sono all’ordine del giorno. Però lei ha dovuto lasciare Zaporizhzhia non per i missili, ma per un tumore. Il tumore al quarto stadio di suo figlio di dodici anni, Makar. E lì sono rimasti il padre del «mio ragazzo», come lo chiama, e la figlia appena maggiorenne. È impegnato a giocare alla Playstation, Makar, in un luminoso soggiorno. Non di un appartamento che la famiglia Andreevna non può permettersi. Ma della Dacha” donata dall’Italia ai bambini malati di cancro e inaugurata a fine ottobre quando il macabro orologio dell’orrore aveva da poco superato quota 600 giorni di guerra. Mamma e figlio della regione in gran parte occupata dall’esercito di Mosca sono la prima delle quindici famiglie che la casa ospiterà. «Famiglie in gravi difficoltà», spiega Damiano Rizzi, “padre” e presidente della fondazione Soleterre che ha voluto il complesso.

La 'Dacha' per bambini malati di cancro appena aperta a Kiev e voluta dalla fondazione italiana Soleterre

La "Dacha" per bambini malati di cancro appena aperta a Kiev e voluta dalla fondazione italiana Soleterre - Gambassi

L’invasione russa si è abbattuta anche sui piccoli che lottano contro la malattia. Nel reparto di oncologia pediatrica l’Istituto nazionale tumori di Kiev ha dovuto tagliare i posti a disposizione per i pazienti under 18: da cinquanta a ventiquattro. Perché la metà dei letti va riservata ai militari feriti: lo stabilisce la legge. Vale anche per il maggiore ospedale del cancro di tutta la nazione. «E il tasso di sopravvivenza dei bambini è sceso dal 62% al 50%», fa sapere Rizzi che, oltre a guidare l’organizzazione noprofit, è psico-oncologo al policlinico San Matteo di Pavia. Come accadeva vent’anni fa, prima che Soleterre aiutasse l’Istituto a compiere una svolta senza precedenti. «Nel 2001 c’erano ancora i bambini contaminati dalle radiazioni di Chernobyl. Si operava con le seghe. Mancava persino il cibo se non il borsch, la tipica zuppa di barbabietole rosse distribuita da un pentolone in corsia». Poi lo sbarco delle terapie occidentali. Il riassetto della struttura. E la drastica riduzione dei decessi. Fino all’aggressione di Putin.

L'istituto nazionale tumori di Kiev

L'istituto nazionale tumori di Kiev - Ugo Panella

«Adesso mancano i farmaci. Già si fa fatica a trovare quelli generici. Figuriamoci quelli anti-tumorali», racconta Gioele Scavuzzo, capomissione di Soleterre per l’Ucraina e la Polonia. Allora ecco la macchina della solidarietà che li fa arrivare sfidando i raid del Cremlino. «Il primario li richiede – spiega Scavuzzo –. Noi inviamo l’ordine alle case farmaceutiche internazionali che però non li spediscono a Kiev». Troppo pericoloso o costoso. E impossibile trovare i corrieri disposti ad attraversare mezza Ucraina sotto tiro. «I carichi vengono lasciati in Polonia. E sono i volontari a portarceli». È successo che venissero consegnati addirittura in Italia. «E da Vimercate, nella provincia di Monza-Brianza, raggiungessero Kiev grazie a un gruppo “amico” di persone di buona volontà», chiarisce Gioele.

Lo staff della fondazione italiana Soleterre a Kiev nella casa-famiglia per bambini malati oncologici

Lo staff della fondazione italiana Soleterre a Kiev nella casa-famiglia per bambini malati oncologici - Ugo Panella

Quando è iniziata l’invasione russa, il 24 febbraio 2022, è scattata l’evacuazione di 2mila bambini malati oncologici. «Duecento sono stati accolti in Italia – ripercorre Rizzi – ma c’era bisogno di garantire anche qui la continuità di cura per chi non aveva o ha la possibilità di andarsene». Come gli sfollati interni, quelli che hanno lasciato le terre nell’Est e nel Sud del Paese lungo la linea del fuoco. «Se una famiglia ha perso la casa per le bombe, come potrà mai pagarsi la permanenza a Kiev per il figlio malato e soprattutto le cure?». Perché l’Istituto nazionale della capitale è sulla carta un presidio sanitario pubblico. Ma i costi delle terapie non vengono coperti dallo Stato: sono a carico del baby paziente. Ne era ben consapevole il piccolo Sasha che oggi ha sconfitto il male. Quando, qualche anno fa, aveva capito che su di lui e i genitori sarebbe gravata non solo la piaga del tumore ma anche il fardello dei farmaci, aveva risposto con parole che a chiunque sarebbero apparse ingenue: «Ma io so disegnare i gatti rossi…». Ne ha dipinti a decine. Li ha messi in vendita su Internet. E metà dei fondi raccolti è servita per i suoi trattamenti, l’altra metà per quelli dei coetanei vicini di letto in ospedale.

La stanza con i 'gatti rossi' disegnati dal piccolo Sasha nella casa-famiglia per bambini malati di tumore a Kiev

La stanza con i "gatti rossi" disegnati dal piccolo Sasha nella casa-famiglia per bambini malati di tumore a Kiev - Gambassi

Ai gatti rossi di Sasha è dedicata una delle camere-appartamento della casa d’accoglienza. I suoi “mici” color carminio decorano le pareti e dicono che i piccoli malati hanno bisogno di buoni samaritani. Come la fondazione Soleterre. «Cure gratuite e diritto alla salute per i più poveri in uno dei Paesi più poveri d’Europa» è la missione in Ucraina che significa persino dare un tetto alle famiglie. «Ancora qui i bambini senza capelli hanno come uno stigma e sono marchiati dal pregiudizio», ammette lo psicologo. Nel quartiere residenziale appena fuori il centro della metropoli dove sorge la “Dacha”, i vicini hanno provato a bloccarne la costruzione. «Avevano paura che i nostri bambini contaminassero l’aria e l’acqua – rivela –. Sembra impossibile, ma è così».

A Kiev l'inaugurazione della casa-famiglia con l'ambasciatore Pier Francesco Zazo (a destra) e il fondatore di Soleterre, Damiano Rizzi (al centro)

A Kiev l'inaugurazione della casa-famiglia con l'ambasciatore Pier Francesco Zazo (a destra) e il fondatore di Soleterre, Damiano Rizzi (al centro) - Ugo Panella

Anche la guerra non ha fermato il progetto realizzato insieme con la fondazione Rosa Pristina di Pisa promossa da Enrico Dameri. Al taglio del nastro della palazzina ha partecipato l’ambasciatore italiano in Ucraina, Pier Francesco Zazo. Due piani avveniristici firmati da un architetto locale, da condividere, fra spazi gioco, sala cinema, cucina comune. E poi gli ambulatori di supporto psicologico e per la fisioterapia riabilitativa. «Finalmente c’è una struttura tutta nostra e non solo case prese in affitto da cui ogni anno continuavano a passare duecento ragazzi con genitori, fratelli e sorelle, talvolta anche nonne e nonni», dice Rizzi. In oltre un decennio sono state più di 1.450 le famiglie ospitate.

Il rifugio anti-missile per bambini malati di tumore nella casa-famiglia di Kiev

Il rifugio anti-missile per bambini malati di tumore nella casa-famiglia di Kiev - Gambassi

Anastasia guarda il parco della “Dacha”. Un casottino in cemento scuro di fronte al portone d’ingresso è il rifugio anti-aereo dove all’interno si trovano già sedie, pouf multicolori e giochi per i bimbi che danno un tocco da pittore al grigio anonimo delle mura della salvezza. «Aver costruito bunker nel giardino di una struttura per minori malati dà la dimensione dell’assurdità della guerra», sottolinea Natalia Onipko, presidente della fondazione Zaporuka, partner ucraino di Soleterre. «Il conflitto ci ha cambiato la vita che era già stravolta da quanto è successo a Makar. Ma grazie al cielo c’è chi ci è accanto», sospira mamma Anastasia. La speranza può essere anche un piccolo seme gettato dall’Italia che con il terzo settore regala cure e letti in mezzo ai droni kamikaze e ai razzi di Mosca.

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