lunedì 2 ottobre 2023
Il premier etiope Abiy dichiara al suo partito che si vuole annettere l'Eritrea mentre il dittatore eritreo Isaias non si ritira dal Tigrai. Dove, secondo l'Onu, continuano violenze e stupri etnici
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Il fuoco cova sotto la cenere in tutta l’Etiopia. E tornano le tensioni con l’alleato del premier Abiy Ahmed, il dittatore eritreo Isaias Afewerki. Nel nord, 11 mesi dopo l’accordo di Pretoria che ha portato all’accordo di cessate il fuoco in Tigrai, la pace è a rischio. L’ultimo rapporto della Commissione d’inchiesta delle Nazioni unite sul conflitto scatenatosi nel novembre 2020 e concluso lo scorso novembre mette in evidenza tutti i nodi.

A partire dalla permanenza delle truppe eritree che invasero la regione autonoma tigrina alleate con l’esercito etiope e che sono rimaste . in barba all’accordo di pace del 2022 - nella zona dell’Irob, al confine con l’Eritrea, contesa dal 1998 con Addis Abeba. Continuano anche le violenze delle milizie regionali Amhara contro i civili nella zona occidentale del Tigrai, contesa con i tigrini e che non è mai stata restituita a Macallè. La notizia più importante che viene dalle indagini della commissione è, però, la conferma che i crimini di guerra e le atrocità sui civili che hanno contraddistinto il conflitto in Tigrai stanno continuando nella zona ovest del Tigrai. Il rischio è ora che l’Onu sancisca una sorta di oblio che farebbe comodo a tutti governi, fuorché alle vittime che vogliono giustizia. Dall’amministrazione ad interim del Tigrai fanno infatti notare che l’Unione africana ha stoppato le attività di implementazione dell’accordo di pace di Pretoria e la stessa commissione di indagine Onu potrebbe non venire rinnovata dal Consiglio di sicurezza.

A conferma dell’instabilità etiope, oltre al conflitto in Oromia e in Amhara con le forze federali, arrivano voci inquietanti riguardanti l’attivismo dell'Eritrea, le cui forze armate avrebbero occupato le città tigrine di Zalambessa e Gursenay. Movimenti dei militari asmarini sono stati inoltre segnalati, secondo l’Ong Eepa Horn, nella regione degli Afar, i dancali. L’Eritrea risulta molto attiva anche sul fronte sudanese. Dopo i recenti incontri con il generale Abdel Fattah al-Burhan capo delle forze armate di Khartum, Afewerki avrebbe iniziato a trasportare elementi delle milizie estremiste Amhara dette “Fano” e munizioni dal Sudan orientale a Gondar in Etiopia per combattere le truppe federali.

Atti che seguono le dichiarazioni del premier federale etiope Abiy Ahmed, premio Nobel per la pace nel 2019 per aver firmato l’accordo di pace proprio con l’Eritrea, il quale durante un corso di formazione davanti a 2.000 iscritti al suo Partito della Prosperità nella città di Adana, in Oromia, ha dichiarato che si sta preparando per annettersi non solo il porto di Assab, ma tutta l’Eritrea per controllare il mar Rosso e abbattere di conseguenza il regime di Afewerki.

Il quale a dispetto di tutto nell’instabilità del gigante etiope vede una garanzia di sopravvivenza. “Ethio-Forum” ha riferito alcuni giorni fa che il capo del suo staff Berhanu Jula avrebbe dichiarato in un meeting di ufficiali delle forze armate sulla situazione in Amhara e Oromia ad Addis Abeba che gli Shaabia, i militari eritrei con i sandali di plastica, vanno dichiarati nemici dell’Etiopia. I termini dell'accordo di pace tra le due nazioni non sono mai stati chiariti. Per ora sono solo minacce, ma nel Corno d’Africa la miccia si accende in fretta.

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