giovedì 20 marzo 2025
Il "ritorno" del tycoon a Kabul a cinque anni dall'intesa di Doha. Liberato un cittadino Usa in cella da due anni. «Gesto di apertura». Firmato l'ordine per smantellare il dipartimento dell'Educazione
George Glezmann, al centro, prima di salire sull'aereo dopo la liberazione a Kabul

George Glezmann, al centro, prima di salire sull'aereo dopo la liberazione a Kabul - Reuters

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Cinque anni e quasi un mese dopo l’accordo sul ritiro Usa dall’Afghanistan, Donald Trump riprende il filo della conversazione interrotta a Doha. Stavolta lo scenario è Kabul dove i taleban sono tornati, il 15 agosto 2021, proprio grazie all’intesa siglata nella capitale del Qatar con gli Stati Uniti. Solo con gli Stati Uniti: Washington scelse di non coinvolgere nel negoziato il governo afghano che, pure, sosteneva insieme agli alleati occidentali. Mossa che, nonostante le accuse a Joe Biden, fu determinante per la capitolazione della Repubblica. L’inviato per gli ostaggi, Adam Boehler, è volato in Afghanistan per riportare a casa George Glezmann, 66 anni, arrestato nel 2022 mentre si trovava nel Paese come turista. E, poco dopo l’incontro tra il delegato e il ministro degli Esteri, Amir Khan Muttaqi, il cittadino Usa è stato effettivamente liberato e imbarcato sul volo per l’America via Qatar, mediatore nelle trattative delle ultime settimane. «Un segno di apertura nei confronti della comunità internazionale e, in particolare, degli Stati Uniti», ha sottolineato Muttaqi su X.

Fin dalla riconquista del potere, i taleban cercano di accreditarsi di fronte al mondo se non altro per riavere i fondi della Repubblica, depositati nelle banche statunitensi e subito congelati dopo il suo crollo. Oltre 3,5 miliardi – la metà del totale – sono tuttora bloccati. In realtà, le Nazioni Unite, lo scorso anno, hanno sborsato l’equivalente – cioè sette miliardi – per aiuti umanitari all’Afghanistan, dove i due terzi della popolazione è allo stremo. Gli ex studenti coranici, però, hanno necessità di liquidità per sedare il malcontento crescente nell’opinione pubblica, esasperata dalle misure draconiane nei confronti delle donne e delle libertà personali, e, ancor più, all’interno del regime. Censura e propaganda non riescono più a nascondere lo scontro al vertice tra la fazione più “dura” dell’emiro Haibatullah Akhundzada e il clan Haqqani, ugualmente estremista ma più pragmatico. In questo contesto, il ritorno di Trump alla Casa Bianca e la sua diplomazia di “premio” e minacce in nome dell’America first può rappresentare per taleban indeboliti un’occasione per la svolta sul riconoscimento.

In realtà, c’erano stati abboccamenti già con la precedente Amministrazione. A gennaio, poche ore prima di lasciare la presidenza, Joe Biden aveva ottenuto il rilascio di altri due statunitensi, Ryan Corbett e William McKenty, scambiati con Khan Mohammed, rinchiuso per narco-terrorismo in un carcere Usa. Il governo afghano, però, aveva tenuto la “carta” Glezmann da “giocare” con il tycoon, ansioso di chiudere le partite aperte a livello globale mentre procede con le sue sforbiciate all’interno: ultimo l’ordine esecutivo firmato ieri «volto a smantellare» il dipartimento per l’Educazione e con esso le decine di miliardi di finanziamenti per gli studenti poveri. Quella afghana è particolarmente rilevante poiché per Kabul passa la battaglia con Pechino. La Cina, fin dal principio, ha sostituito gli occidentali e puntellato i taleban con generosi investimenti in cambio di concessioni sulle terre rare di cui il Paese è ricco. Risorse che interessano molto al tycoon. L’Ucraina docet.

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