La
Conferenza internazionale di pace per la Siria inizia a Ginevra mercoledì 22 gennaio dopo mesi di trattative e sforzi diplomatici portati avanti dalle Nazioni Unite, Usa e Russia. Secondo il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, sarebbe “imperdonabile non cogliere questa opportunità per trovare una soluzione al conflitto in corso”. Conflitto che ha ormai provocato oltre centomila morti e 9 milioni di profughi.
Il processo che ha portato alla convocazione dell’incontro tra le parti ha avuto inizio di fatto nel maggio dello scorso anno, quando il segretario di Stato americano, John Kerry, e il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, arrivarono a un’intesa per portare a un tavolo i contendenti. Entrambi ritenevano che la Siria rischiasse di finire nel baratro con gravi problemi di stabilità per l’intera area mediorientale. Alle parole però non seguirono fatti concreti, prioprio per l’opposizione dei belligeranti. Ciascuno era convinto di potere ottenere la vittoria sul campo.
La vicenda delle
armi chimiche, la scorsa estate, ridiede però fiato ai sostenitori delle trattative. Il 21 agosto centinaia di siriani morirono in seguito a un attacco condotto con missili dotati di testate chimiche. Lo spettro che queste armi micidiali finissero in mano a terroristi e a militari fuori controllo fece paura a molti governi. Il
27 settembre l’Onu adottò la risoluzione 2118 che chiedeva la rimozione e la distruzione delle armi chimiche stoccate dall’esercito Siriano.
Nell’occasione le Nazioni unite chiesero la convocazione, il prima possibile, di una conferenza internazionale sulla Siria, con la partecipazione di “tutte le parti impegnate in modo serio e costruttivo per raggiungere stabilità e riconciliazione”. In questa richiesta-appello si faceva riferimento al “Comunicato di Ginevra” del 30 giugno 2012. Un testo emanato al termine di un incontro a Ginevra, sempre promosso dall’Onu, per trovare una via di uscita dal conflitto. Per questo precedente la prossima conferenza viene anche chiamata “Ginevra II”.
Il
governo siriano ha accettato di partecipare alla Conferenza il 27 novembre scorso. Lo ha fatto però con toni duri, affermando tra l’altro che la sua delegazione “non cederà alcun potere ad alcuno”. Il presidente Bashar al-Assad ha più volte preteso, “in nome del popolo siriano” che prima delle trattative si eliminasse il terrorismo. Ovvero che i ribelli deponessero le armi. Inoltre Assad ha anche più volte insistito sulla necessità che ogni eventuale accordo raggiunto venga sottoposto a un referendum. Secondo molti osservatori tale evenienza appare però difficile da mettere in atto, considerato lo stato in cui versa la Siria e l’alto numero di rifugiati anche all’estero.Per quanto riguarda l’opposizione, la
Coalizione nazionale siriana, principale raggruppamento dell'opposizione liberale al regime di Bashar al-Assad, ha accettato di partecipare alle trattative, al termine di un meeting in Turchia il 18 gennaio. La coalizione resta però ferma nella richiesta che Assad passi la mano e che si passi a un sistema democratico.
La decisione di accettare di partecipare alla Conferenza ha però provocato gravi dissensi all’interno della coalizione, che potrebbero portare anche a defezioni. Inoltre altri gruppi di opposizione, che non si riconoscono nella Coalizione nazionale,
hanno rifiutato i colloqui di pace. Sulla linea del “no” ci sono anche il Fronte Islamico e il Consiglio militare supremo dell’esercito libero siriano, seppure quest’ultimo sia appoggiato da alcuni governi occidentali.
I rappresentanti dei
curdi siriani , circa il 10% della popolazione del Paese, si sono detti disponibili a inviare una delegazione in Svizzera, però chiedono che sia una presenza autonoma e non inclusa nella delegazione della Coalizione nazionale siriana.
A Ginevra Ban Ki-moon ha invitato anche l’
Iran, storico alleato della Siria di Assad. Teheran ha accettato e secondo il segretario delle Nazioni unite il suo contributo potrebbe dimostrarsi molto importante in senso positivo.
Ma subito si è scatenata l'opposizione di Usa e rivoltosi siriati. Il segretario dell'Onu ha ritirato l'invito e l'Iran ha fatto sapere che comunque non avrebbe potuto accettare come precondizione quanto chiesto dal "Comunicato di Ginevra", ovvero la costituzione di un governo di transizione.