giovedì 18 agosto 2016
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La tragedia siriana ha tanti volti. Un popolo distrutto e in gran parte sfollato o profugo. E i diritti umani negati. Oltre 17mila detenuti sono morti nelle strutture di detenzione del governo siriano dall'inizio della rivolta contro il presidente Bashar Assad nel 2011, secondo Amnesty International. L'organizzazione rende noto il bilancio pubblicando un rapporto in cui parlano anche 65 sopravvissuti a torture. Le testimonianze descrivono gli abusi e le condizioni disumane delle strutture detentive gestite dalle agenzie d'intelligence siriane e nella prigione militare di Saidnaya, nei pressi di Damasco. I sopravvissuti descrivono metodi di tortura che includono scariche elettriche, violenze sessuali, asportazione delle unghie di mani e piedi, bruciature con sigarette o acqua bollente.
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Viaggio virtuale dentro Saydnaya, la prigione delle torture I metodi brutali del regime di Assad sono stati una concausa della rivolta democratica contro il governo. Rivolta però poi fagocitata e quindi sconfitta dall'arrivo massiccio di forze fondamentaliste. Jihadisti legati ad al Qaeda, al Daesh, ma anche ad altri gruppi finanziati dalla vicina Turchia. I quanto ai metodi brutali e alla negazione dei diritti umani, allo stato attuale mancano informazioni relative alle carceri sotto il controllo dei jihadisti, che spesso "usano" non fare prigionieri, uccidendo gli avversari dopo averli torturati, come racconta, tra gli altri, il giornalista Domenico Quirico nel suo libro "Il grande califfato". E nulla si sa più del padre gesuita Paolo Dall'Oglio sequestrato in Siria il 29 luglio 2013 e poi detenuto, secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, a Raqqa, la capitale dell'autoproclamato Califfato del Daesh.

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