domenica 15 settembre 2019
L'esercito ha preso possesso con la forza di 7 istituti gestiti da ordini religiosi. La lettera di protesta dei vescovi. Ad Asmara negli anni scorsi misure simili contro le strutture degli ortodossi
Regime eritreo: dopo gli ospedali occupate anche le scuole cattoliche
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Si stringe la morsa del regime eritreo sulla Chiesa cattolica. E i quattro vescovi mandano una lettera di protesta al ministro dell’Istruzione chiedendo ancora una volta spiegazioni, ma dall’Asmara solo silenzio. Il 3 settembre scorso l’esercito dell’ex colonia italiana, stando alle testimonianze riportate da numerose testate internazionali quali Bbc e Radio France Internationale, ha preso possesso con la forza di sette scuole primarie e secondarie gestite da ordini religiosi cattolici. Sindaci e funzionari pubblici scortati da militari si sono presentati nel grande complesso scolastico professionale dei cappuccini a Massaua, nella scuola elementare, media inferiore e superiore San Giuseppe dei lasalliani di Keren, la terza città più importante del Paese, chiudendoli. Lo stesso è avvenuto a Mendefera, nella scuola superiore sempre dei frati cappuccini e in altre 4 località.

Provvedimenti simili erano stati presi negli anni scorsi contro gli istituti gestiti dalla Chiesa ortodossa ad Asmara. Nel 2017, invece, sempre nella capitale eritrea, era stata chiusa una scuola musulmana. E due anni fa era toccato chiudere i battenti alla scuola secondaria Santissimo Redentore del seminario di Asmara, un provvedimento chiaramente volto a colpire la formazione del clero, che non può uscire dai confini nazionali fino a 50 anni a causa delle restrizioni alla mobilità tuttora vigenti nello Statocaserma, che prevede un servizio militare e civile a tempo illimitato, nonostante la pace con l’Etiopia in vigore dell’8 luglio 2018. Il provvedimento segue quello del 12 giugno scorso con il quale erano state requisite con la forza 21 strutture sanitarie della Chiesa cattolica, tra le poche efficienti per la popolazione dei centri rurali.

La misura è stata giustificata dalle autorità facendo riferimento alle norme introdotte nel 1995 che limitano le attività degli istituti religiosi, le quali devono passare sotto il controllo dello Stato. La legittimità del decreto, mai entrato in vigore formalmente, è sempre stata contestata dalla Chiesa cattolica. Anche in seguito alla chiusura dei dispensari, i vescovi eritrei avevano scritto una lettera senza riposta alla ministra della Sanità. Nelle due lettere, i vescovi ribadiscono la richiesta di dialogo e la bontà dell’azione sociale e pastorale, irrinunciabile per la Chiesa cattolica che il regime di scuola maoista di Isaias Afewerki vorrebbe rinchiudere nelle sacrestie e silenziare. «È da sempre nei desideri e nell’agenda di noi vescovi della Chiesa cattolica – così inizia la lettera – incontrarci con le autorità governative per dialogare su tutto ciò che attiene alla situazione della nostra Chiesa e della nostra nazione. Purtroppo a questo desiderio non è stata mai accordata una qualsiasi considerazione da parte delle autorità statali».

A fare le spese di tutto questo è soprattutto la popolazione. Le scuole cattoliche, costruite con il contributo solidale di fedeli, parrocchie e diocesi di tutto il pianeta, sono infatti per metà frequentate da studenti poveri le cui rette sono pagate con borse di studio. Per loro non vi è ora alternativa al precario servizio predisposto dallo Stato, che ha un pauroso deficit di insegnanti e mette in cattedra giovani del servizio nazionale con scarsi risultati. Senza contare il saccheggio avvenuto nei dispensari e nelle cliniche cattoliche in questi tre mesi.

A Digsa, ad esempio, le strutture sanitarie realizzate grazie anche all’impegno economico dalla diocesi di Faenza sono state smantellate e nell’ospedale sono rimaste solo due infermiere, una delle quali è ostetrica e tiene aperta la sala parto. Ai malati delle aree rurali viene detto di rivolgersi ai centri ospedalieri cittadini, dove, però, mancano farmaci e i medici devono curare prima i militari. Diversi analisti ritengono che le disposizioni siano una ritorsione alla lettera pastorale dei vescovi letta nelle chiese in occasione della Pasqua che richiamava il governo al dovere della riconciliazione nazionale. Le speranze di democrazia e di benessere accese dalla pace con l’Etiopia, continuano insomma a essere deluse. E i flussi migratori dell’Eritrea non si fermano.

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