Alla fine, tutto è negoziabile. «Abbiamo scambiato un fan della Russia con oltre 200 soldati. Non è un peccato dare Viktor Medvedchuk in cambio di veri guerrieri: ha già fornito all'Ucraina tutto ciò che è necessario per stabilire la verità nei procedimenti penali in corso contro di lui».
Il più grande e clamoroso scambio di prigionieri dall'inizio del conflitto in Ucraina diventa ufficiale in piena notte, dopo ore convulse in cui si sono rincorse voci e smentite. A difendere le trattative con Mosca, concluse proprio in coincidenza con la mobilitazione militare ordinata da Vladimir Putin e le minacce di far ricorso agli ordini nucleari, è direttamente Volodymyr Zelensky.
«All'inizio, ci è stato offerto di restituire 50 dei nostri in cambio di uno solo di quelli che si trovavano nel centro di detenzione preventiva del Servizio di sicurezza dell'Ucraina (Medvedchuk). Abbiamo parlato, insistito, il numero di 50 è cresciuto fino a 200», ha raccontato il presidente ucraino, che ha chiuso l'accordo con la decisiva mediazione dei leader di Turchia e Arabia Saudita, Recep Tayyip Erdogan e Mohammed bin Salman.
Kiev ha perso l'oligarca considerato il principe dei traditori ma ha ritrovato gli 'eroi' dell'acciaieria Azovstal, che aveva promesso di far tornare a casa: un totale di 215 combattenti liberati, tra cui 188 dei difensori di Mariupol, inclusi 108 combattenti del reggimento Azov e cinque dei comandanti più noti, gli uomini simbolo della resistenza, e persino una donna incinta di otto mesi. Sono quelli "che i russi volevano uccidere, che chiamavano "nazisti", ricordano orgogliosi da Kiev, denunciando che molti sono stati torturati. In cambio, a Mosca ritorna l'uomo del Cremlino in Ucraina, che secondo i media il presidente russo avrebbe voluto a capo di un governo fantoccio a Kiev, catturato a marzo in un blitz degli 007 ucraini mentre cercava di lasciare il Paese dopo la fuga dai domiciliari. Insieme a lui, sono stati rilasciati 55 soldati russi e dei separatisi del Donbass.
Uno scambio complesso con "diverse fasi e in luoghi diversi", ha spiegato il capo dell'ufficio presidenziale Andriy Yermak. Trattative parallele hanno coinvolto i 10 stranieri arrivati ieri in Arabia Saudita dalla Russia - 5 britannici, 2 americani, un marocchino, uno svedese e un croato -, tra cui quelli condannati a morte dai filorussi in Donbass. A mediare, in questo caso, è stato il principe ereditario Mbs, pubblicamente ringraziato anche da Londra.
I leader degli Azov, pezzo pregiato dello scambio, tornano così in libertà ma non al fronte. Fino alla fine del conflitto, ha precisato Kiev, resteranno sotto la tutela diretta di Erdogan in Turchia, dove potranno essere raggiunti dai familiari. Alcune foto li ritraggono insieme davanti a un microfono, nuovamente nella loro mimetica dopo la spoliazione seguita alla caduta dell'Azovstal: il comandante Denis Prokopenko, nome di battaglia Redis, il suo vice Svyatoslav Palamar, detto Kalina, il capo dell'intelligence Kirill Budanov e il comandante della 36/ma brigata di marina, il maggiore Serhiy Volyn, anch'egli diventato celebre con i video appelli durante l'assedio. "Ho appena parlato al telefono con Redis, Kalina - ha raccontato il fondatore del reggimento, Andrey Biletsky -, tutti hanno uno spirito combattivo e sono persino desiderosi di combattere. Un'altra conferma che Azov è di acciaio". Lontano dalla battaglia con le armi, potranno lanciarsi in quella mediatica. Mentre con Putin, nonostante tutto, si continua a trattare.