«La scuola delle suore domenicane di Santa Caterina di Mosul ha riaperto. Pure il centro culturale San Paolo a Qaraqosh ha fatto ripartire le sue attività: il teatro per i ragazzi e i corsi di artigianato», spiega Elisabetta Valgiusti.
È questa, per la regista italiana, l’icona della rinascita di Qaraqosh: «Sono impegnatissimi a lavorare, quelli che sono ritornati: le chiese sono state tutte ripulite e le case, quelle meno danneggiate, stanno per essere riparate». È rientrata da pochi giorni dalla Piana di Ninive la documentarista italiana che è pure presidente dell’associazione “Save the monasteries” (salvaimonasteri).
Naturale, per chi ha frequentato la Piana di Ninive dal 2005 e ha prodotto cinque documentari, mettere in fila immagini ed emozioni – come in una “foto gallery” mentale – sull’ultima comunità cristiana del-l’Iraq. «Erano una vera “società cristiana” molto ben organizzata e con una classe media benestante», spiega Valgiusti. Tre anni passati nei campi profughi con il miraggio – per chi non ha scelto l’esodo – di poter tornare a Qaraqosh, l’ultima cittadella interamente cristiana dopo la caduta di Saddam Hussein e la terribile guerra civile in cui si era trasformato il lungo dopoguerra. Eppure, fra la cintura dei villaggi cristiani nella Piana di Ninive, la vita sembrava scorrere calma e serena. Dalla scorsa primavera, quando a Mosul si combatteva ancora contro il Califfato islamico, i primi rientri. E ora lo sforzo di far ripartire di nuovo ogni aspetto della vita sociale: «Le scuole hanno riaperto, i primi ristoranti, si sta riavviando l’agricoltura».
Ma il tutto in una grande incertezza politica. E non solo quella: «Per fare i circa 50 chilometri che separano Erbil da Qaraqosh, una strada che si percorreva in circa mezz’ora, ora ci vogliono tre ore: ho dovuto passare una dozzina di check-point».
Diverse formazioni che, a vario titolo, controllano ogni minimo movimento. Una situazione di precarietà e incertezza che pare essersi acuita dopo il fallimento del referendum per l’indipendenza dello scorso 25 settembre. «Ora, quelli che sono rientrati, stanno soffrendo più di quanto pensassero. Lo vedi inciso sui loro volti», prosegue Elisabetta Valgiusti. Vi è «una furia» in chi è ritornato: 15-20mila al massimo su una popolazione prima del 2014 di circa 50mila abitanti. «Una furia di ricostruire». Sembra quasi una corsa contro il tempo, per dimostrare che c’è ancora un posto dove vivere in Iraq per le antichissime comunità cristiane che parlano in aramaico. Una corsa contro il tempo, per convincere chi aspetta solo un visto per espatriare a restare.
«Back to Ninive», il “Ritorno a Ninive” è il titolo dell’ultimo docu-film prodotto da “Save the monasteries” in onda il 31 dicembre alle 10 di sera su EWTN TV – emittente cattolica Usa – e in replica il 4 e il 6 gennaio.
«Il mio progetto, per aiutare questa comunità, è di riuscire a restaurare la cappella della chiesa dell’Immacolata vecchia dell’XI secolo, una antica cappella con scritte in aramaico», spiega Elisabetta Valgiusti. Un simbolo di una rinascita possibile, «cercando di non creare un “nuovo Kosovo” con monasteri presidiati dai soldati ma senza più comunità cristiane attorno». Back to Niniveh, ritorno a Ninive. Una sfida tutta da giocare.