Il premier polacco Donald Tusk con il sindaco di Varsavia Rafal Trzaskowski - Reuters
Il cancello di ingresso numero due ai cantieri navali di Danzica è sempre lo stesso, con la foto di papa Wojtyla, l’immagine della Madonna di Czestochowa e la bandiera del Vaticano accanto a quella polacca e a quella di Solidarnosc. Solo quello, però, quasi mezzo secolo dopo è rimasto intatto: varcato il cancello un ampio viale sgombro di macchine e capannoni conduce all’Europejskie Centrum Solidarnosci - la biblioteca-museo di Solidarnosc. Sulla porta a vetri d’ingresso, la scritta in inglese: “Europe starts here!”.
Furono, nell’agosto 1980, le proteste dei 17mila operai della immensa “fabbrica di navi” a dare la prima decisa scossa - con il “Comitato di sciopero interaziendale” subito capitanato da Lech Walesa - a quella che era l’Europa d’oltre cortina. Il piazzale prima dei cancelli, con la targa che ricorda padre Jerzy Popieluszko e il monumento ai 30 operai uccisi dalla polizia del regime comunista durante uno sciopero nel dicembre 1970, la dura memoria di quanto costò imboccare la strada per l’Europa.
L’Europa, simbolo di libertà dal regime di Mosca. Simboli, ma anche paure antiche che – riflesso della guerra in Ucraina - ora increspano l’apparente imperturbabile compostezza del polacco medio. Il confine con la Bielorussia è a poco più di 400 chilometri da Danzica, quello con l’Ucraina a poco più di 700.
«Il 24 febbraio di due anni fa ho avuto una vera crisi di nervi: temevo realmente che la Russia, presa Kiev, avrebbe potuto attaccare la Polonia», afferma Arkadiusz Smagacz. Un brivido lungo la schiena che il direttore della biblioteca del Centro europeo di solidarietà deve aver provato anche quando il 16 novembre del 2022 due missili caduti per sbaglio sul villaggio di Przewodow, appena oltre il confine, uccisero due cittadini polacchi. E una manciata di giorni fa, il 29 marzo, la Polonia ha fatto decollare i suoi caccia per proteggere lo spazio aereo. «Putin si ferma solo davanti a Paesi coesi nella Nato». Nessun dubbio, secondo questo mite studioso di storia medievale, su come andare al voto di giugno per l’Europarlamento: «L’importante è che vincano le forze che sono per l’unità europea. Il vero nemico dell’integrazione europea è Putin: non vorrei che in Francia e in Italia vincessero le forze che sono pro-Putin».
La guerra è vicina e i 700mila profughi ucraini che, secondo le stime, sono ancora accolti in Polonia sono una presenza ingombrante: la catena di solidarietà dell’inverno 2022 che aveva preparato centri di accoglienza in palestre e istituti religiosi si è interrotta. «Alcuni si sono inseriti, grazie anche alla generosità di privati cittadini: spesso i giovani ucraini fanno avanti e indietro dalla frontiera per trovare lavoro e continuare gli studi. Ma dopo due anni non mancano i malumori e sentimenti xenofobi da parte di alcuni», confida sul treno da Varsavia a Danzica un impiegato in pensione che preferisce l’anonimato.
Guerra vicina, e la coscienza di essere la frontiera orientale – non solo geografica – dell’Unione Europea. Un editoriale del politologo Roman Kuzniar su quotidiano Rzeczpospolita invitava la scorsa settimana a costruire un “patriottismo europeo” come antidoto alle sirene dell’euroscetticismo. «A gran parte dei polacchi, soprattutto ai giovani - afferma il politologo – è stato detto che le cose andranno meglio al di fuori dell’Europa unita». In effetti, otto anni di governo del Pis di Jaroslaw Kaczynski hanno costruito un continuo confronto mediatico fra i “veri polacchi”, difensori dell’anima cristiana del Paese e del diritto alla vita sin dal concepimento, e una Europa schiava degli interessi economici di Bruxelles, “corrotta e aperta all’ideologia Lgbtq”. Questo mentre il governo del Pis cancellava il pluralismo nella tv di Stato e minava l’indipendenza della magistratura con una riforma della giustizia finita sotto la lente di ingrandimento dell’Unione.
Un braccio di ferro politico e istituzionale che aveva portato la Commissione europea a congelare il Recovery plan costringendo il governo di Varsavia ad avviare molte opere pubbliche andando a gravare sul debito pubblico. Una “svolta europeista” il voto del 15 ottobre scorso e l’insediamento il 13 dicembre del governo di Donald Tusk sostenuto da una coalizione tripartita. Lo sblocco il 29 febbraio scorso della prima tranche di 6,3 miliardi di euro in finanziamenti per la Polonia – con plastica stretta di mano fra Donald Tusk e Ursula von der Leyen – potrebbe essere un rientro di Varsavia senza reticenze nel salotto buono di Bruxelles, dopo aver garantito indipendenza dei giudici e dei meccanismi di revisione e controllo.
Addirittura, tornando all’editoriale su Rzeczpospolita di Roman Kuzniar, si torna a parlare di “rivitalizzazione del Triangolo di Weimar”, vale a dire una sorta di integrazione rafforzata tra Francia, Germanie e Polonia per creare una “leadership forte”. Putin il nemico, una liberal democrazia europea, invece, l’anima di un nuovo “patriottismo” da costruire a partire dalla Polonia.
Questo il punto di vista dell’intellighenzia liberale ed europeista, ma il voto dei contadini potrebbe essere determinato dalla paura per concorrenza del grano ucraino, mina vagante della Pac, oltre che dai timori per la guerra in Ucraina. Questo perché la narrativa sovranista e la paura dell’ “Europa anticristiana” hanno inciso nell’animo polacco: secondo l’istituto Ibris, ora solo il 53% dei polacchi vede più vantaggi che svantaggi nell’adesione della Polonia alla Ue, mentre per il 16,7% prevalgono gli svantaggi. Nel 2020, gli euroentusiasti erano il 64,4% - con un calo quindi di 11 punti in 4 anni - e gli eurocritici il 17,1%. Calma apparente a Danzica, ma l’unica cosa che è rimasta immutata sono le cinque grandi gru che svettano sul porto affacciato sul Baltico: il cantiere Europa è ancora aperto.
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