martedì 28 gennaio 2025
Arrestato con la stessa accusa un giovane cristiano che avrebbe usato espressioni ingiuriose verso la fede islamica davanti a alcuni amici. Altri due cristiani invece sono stati scarcerati
Una manifestazione contro la legge antiblasfemia in Pakistan

Una manifestazione contro la legge antiblasfemia in Pakistan - Ansa

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La sentenza con cui sabato scorso una corte di prima istanza di Rawalpindi ha condannato a morte quattro individui di fede islamica mostra non soltanto la persistenza della “legge antiblasfemia", ma anche la facilità con cui viene applicata, per quanto raramente si arrivi in appello a sentenze capitali.

I quattro avrebbero postato sui social media immagini di carattere religioso e del Corano considerate ingiuriose. Per il giudice Tariq Ayub la sentenza è stata motivata da blasfemia, mancato rispetto per personalità sacre e profanazione del Corano, offese “imperdonabili” che non lasciano spazio per la clemenza. Chiara per la difesa la mancanza di prove e la prevenzione della corte: «I dubbi e le incertezze che emergono in questi casi sono ignorati, probabilmente per il timore di ritorsioni e di violenza della folla contro il giudice se l’accusato venisse assolto» ha denunciato l’avvocato Manzoor Rahmani.

La legge - in realtà alcuni articoli del Codice penale noti collettivamente come “legge antiblasfemia” introdotti negli anni Ottanta - è spesso utilizzata come strumento di vendetta personale, in base a semplici accuse confermate da un’autorità religiosa.

Probabilmente queste stesse ragioni, oltre a fanatismo religioso e accanimento verso le minoranze, hanno portato all’arresto per blasfemia e addirittura terrorismo di un giovane cristiano che avrebbe usato espressioni ingiuriose verso la fede islamica davanti a alcuni amici. Tanto è bastato agli anziani del suo villaggio nella municipalità di Sahiwal - un’area della provincia del Punjab dove negli ultimi 15 mesi si sono registrati oltre dieci casi di blasfemia - per denunciarlo alla polizia. Il giovane, arrestato lunedì e ieri portato davanti al giudice, sarebbe per i vicini mentalmente instabile ma questo non ha impedito che gli venisse mossa un’accusa che potrebbe costargli molto caro, come pure alla sua famiglia e alla comunità cristiana della zona, messe sotto la protezione della polizia.

La sua sorte incrocia quella, che ha però preso una svolta positiva, di due gemelli cristiani, i 18enni Sahil e Raheel Shahid. Arrestati lo scorso agosto, due giorni fa il giudice di Kusur, sempre nel Punjab, li ha rimessi in libertà per mancanza di prove valide al proseguimento del giudizio, inficiato anche dalla leggerezza con cui la polizia avrebbe affrontato le indagini.

Secondo i dati forniti dalla Commissione per la libertà religiosa degli Stati Uniti, sono 20 i cristiani incarcerati in Pakistan per blasfemia fra il 2002 e il 2024, per un totale 134 di anni finora scontati. Tra loro, nove sono in attesa di esecuzione, uno sta scontando la pena dell’ergastolo e i restanti sono in attesa del giudizio definitivo.

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