Il giorno dopo l’atto terroristico che ha privato il Paese del suo ministro delle Minoranze, il cattolico Shahbaz Bhatti, il Pakistan cerca di reagire e proclama tre giorni di lutto nazionale. «Il brutale assassinio di Bhatti ha ancora una volta evidenziato la rapida caduta della nostra società nella violenza – ha ricordato ieri in un editoriale il quotidiano
Daily Times –. Questo non è tempo di tacere intimiditi, ma il tempo di applicare la legge e di non arrenderci davanti agli estremisti». Con questa ultima sfida, infatti, si è chiarito l’obiettivo dei radicali islamici di zittire la forte componente laica nella politica e nella società, oltre che lo stesso islam moderato. Un rischio per il Paese, ma anche per i suoi alleati occidentali e per le nazioni confinanti.«L’assassinio di Bhatti è il risultato di una mentalità negativa e dell’intolleranza – ha detto ieri il presidente Asif Ali Zardari –. Dobbiamo combattere questa mentalità e sconfiggere gli assassini. Non ci faremo intimidire né ci ritireremo». Il presidente ha anche ricordato come «Shahbaz Bhatti è caduto vittima della stessa intolleranza che è costata la vita al governatore della provincia del Punjab, Salman Taseer, e a Benazir Bhutto». Parole sentite ma anche di circostanza davanti a una sfida che il Paese non può vincere se non superando divisioni e interessi al momento insormontabili e che sono propri anche della sfera politica. Le minoranze, le stesse che avevano guardato a Bhatti – primo cattolico a occupare il dicastero loro dedicato – per qualche briciola di tutela e che ora sembrano più smarrite che mai. A conferma del senso d’impotenza, le modalità dell’atto terroristico rivendicato dal gruppo “Tehrik-i-Taliban- Punjab”. L’auto con a bordo 42enne Shahbaz Bhatti è stata fermata da uomini armati che hanno sparato almeno trenta colpi, uccidendo il ministro. Un compito facilitato dalla mancanza dell’auto della scorta: «per volontà del ministro» secondo la polizia, il cui portavoce ha comunicato il fermo di una ventina di sospetti.I vertici della Chiesa cattolica e di quella anglicana del Pakistan hanno rilasciato un comunicato congiunto che chiama in causa responsabilità precise: «Il governo deve superare la retorica delle “minoranze privilegiate” e agire concretamente per fermare l’estremismo in Pakistan», vi si legge. «Se il Paese diventa un campo di sterminio di personalità democratiche e liberali che esercitano la propria libertà di coscienza e di espressione, si finirà con il rafforzare i criminali che cercano di impadronirsi del Paese».La società civile intanto sta reagendo all’assassinio. Ieri, dopo il propagarsi della notizia dell’omicidio, manifestazioni spontanee si sono tenute nelle principali città del Pakistan: Islamabad, Lahore, Karachi, Multan, Quetta. Gruppi di cristiani sono scesi in strada protestando per «l’assenza e l’inattività dello Stato». Human Rights Focus of Pakistan ha annunciato «sette giorni di lutto», affermando che «questo evento ci darà la forza per un’azione più intensa contro la legge sulla blasfemia». A sua volta, Nazir Bhatti, leader del Congresso cristiano del Pakistan, nel definire il ministro ucciso «un martire», ha confermato che «la memoria di Bhatti sarà un punto di partenza per rilanciare la campagna per l’abolizione della legge». Oggi, dopo una massa di suffragio nella capitale Islamabad, il feretro con la salma di Shabaz Bhatti sarà trasferità a Kushpur, il villaggio cristiano di cui il ministro era originario, dove si terranno i funerali solenni e l’inumazione. La cerimonia sarà presieduto dal vescovo di Faisalabad, monsignor Joseph Coutts, e concelebrato da tutti vescovi del Punjab.