L’ astensione forzata di buona parte della popolazione pashtun, seriamente minacciata dai taleban, toglierà indispensabili voti proprio all’attuale presidente Hamid Karzai. Ancora ie- ri i miliziani hanno minacciato: «Compiremo varie operazioni e se qualcuno resterà ferito non potrà prendersela con noi, perché abbiamo dato un chiaro avvertimento». Dal canto suo Karzai ieri ha chiesto nuovamente agli afghani di andare a votare «per la stabilità, la pace e il progresso». In un Paese multietnico come l’Afghanistan, l’appartenenza etnica dei candidati conterà più di ogni altro criterio nella scelta dei candidati. Sarà il tasso di partecipazione dei pashtun, l’etnia cui appartiene Karzai, a determinare chi sarà il prossimo vincitore. Secondo le stime più attendibili, i pashtun rappresentano circa il 42% della popolazione, seguiti dai tagiki (27%), poi dagli hazara (10-15%) e dagli uzbeki (69%). Nulla di strano se Karzai le ha tentate tutte per garantirsi la rielezione. Anzitutto, si è dimostrato particolarmente conciliante nei confronti dei «taleban moderati » negli ultimi mesi. Nonostante le smentite del portavoce dei taleban, il controverso fratello di Karzai afferma di aver intrapreso negoziati segreti con il movimento radicale per arrivare a un «cessate il fuoco» ed evitare che una bassa affluenza alle urne nelle zone pashtun possa portare all’elezione di un presidente non-pashtun. «Ho appena avuto un incontro con un comandante taleban molto, molto influente – ha raccontato al Guardian Ahmad Wali Karzai – Gli ho detto che le elezioni si svolgeranno ugualmente, anche se le quattro province pashtun parteciperanno o meno». Un altro motivo di preoccupazione per Karzai sono i voti che i due principali sfidanti possono rosicchiargli tra i «suoi» pashtun. Abdullah Abdullah, dato dai sondaggi al 26%, è presentato come rappresentante dell’etnia tagika. In verità, l’ex capo della diplomazia afghana è di etnia mista: pashtun per parte di padre e tagiko per parte di madre. L’altro avversario, il pashtun Ashraf Ghani, detiene quel 6% che manca a Karzai (stando ai sondaggi) per infrangere dal primo turno la barriera del 50%. Ghani ha dichiarato al Times di essere stato avvicinato dagli intermediari di Karzai. Il presidente gli avrebbe offerto l’incarico di premier, nel tentativo di garantirsi la vittoria fin dal primo turno, ma invano. Fonti vicine a Ghani hanno smentito qualsiasi coinvolgimento degli Stati Uniti nelle trattative, ma hanno confermato che dai diplomatici americani sono arrivate garanzie sulla «sincerità» dell’offerta. La proposta è stata discussa dall’inviato speciale americano Richard Holbrooke e dall’ambasciatore Usa a Kabul Karl Eikenberry con lo stesso ex ministro delle Finanze, ritenuto da Washington un tecnico competente. Fallita questa manovra, Karzai ha comunque continuato a tessere la tela che, nelle sue intenzioni, lo confermerà alla presidenza. Ha prima raggiunto diversi accordi con leader tribali e signori locali, promettendo incarichi di governo in cambio dei voti, poi ha rotto gli indugi autorizzando il ritorno a Kabul del generale Abdul Rashid Dostum, veterano signore della guerra uzbeko. Questa mossa potrebbe far pendere la bilancia dalla sua parte, visto che nel 2004 il voto uzbeko gli ha assicurato un 10% di consensi. In cambio di cosa non è del tutto chiaro. Dostum è guardato con diffidenza dall’Occidente, che ricorda i suoi cambi di alleanze nella guerra contro i sovietici e le accuse di violazioni dei diritti umani e traffico di droga. L’Onu e gli Stati Uniti hanno espresso preoccupazione sulla possibilità che possa ricoprire incarichi di governo in cambio del sostegno a Karzai. «Per portare avanti il Paese servono più politici competenti e meno signori della guerra», ha affermato un portavoce delle Nazioni Unite a Kabul.