Gli eroi dei film di azione di Hollywood hanno sempre bisogno di arrivare a un istante dalla catastrofe per dimostrarsi veri intrepidi ed evitarla. Lo fanno anche i meno gloriosi politici dei palazzi Washington. Nell’estate del 2011 l’accordo al Congresso sull’innalzamento del tetto del debito pubblico arrivò il 31 luglio: senza un’intesa il Tesoro due giorni dopo non avrebbe potuto pagare i creditori degli Stati Uniti d’America. Il conto alla rovescia sull’indebitamento di Stato è già ripartito: il tetto del debito, oggi a 16.394 miliardi di dollari, sarà raggiunto il 31 dicembre e Timothy Geithner, il segretario al Tesoro, sta studiando le procedure di emergenza per gestire le casse della prima economia mondiale ancora per qualche settimana, nella speranza che entro marzo i membri del Congresso si mettano di nuovo d’accordo.Le trattative potranno accelerare a gennaio. Adesso è un altro il
timer che tiene in ansia l’America e il resto del mondo. I membri del Congresso hanno meno di 100 ore per trovare un accordo ed evitare che la nazione cada nel baratro fiscale – il
fiscal cliff – dove ad aspettarla c’è una nuova recessione. Il tempo è letteralmente "contato" perché negli Stati Uniti molte leggi sono state introdotte in via temporanea, con una precisa scadenza. Il 31 dicembre scadono norme che prevedono circa 400 miliardi di agevolazioni fiscali e 100 miliardi di spesa pubblica. L’ufficio bilancio del Congresso, che è un organismo indipendente, prevede che queste brusche scadenze spingeranno l’economia americana di nuovo in recessione: se quest’anno il Prodotto interno lordo degli Stati Uniti crescerà del 3,1%, nel prossimo la caduta nel baratro si tradurrà in una discesa del Pil dello 0,5%.Concretamente le agevolazioni consistono in aiuti ai redditi medi e alti (il taglio alle tasse vale 221 miliardi di dollari), riduzione del 2% dell’aliquota dei contributi per i dipendenti (95 miliardi), agevolazioni per le imprese (65 miliardi). Senza un intervento, inoltre, scatterebbero aumenti di tassazione sugli investimenti finanziari e sui redditi alti (dai 125 mila dollari in su) per raccogliere 18 miliardi di dollari. Dal lato della spesa pubblica salterebbero 64 miliardi di spese (per metà riguardano la difesa, per l’altra metà i servizi, scuole comprese), i sussidi di emergenza per i disoccupati (per 26 miliardi) e gli aumenti di stipendio dei medici (dovranno rinunciare a 11 miliardi). Il tutto avrebbe un invidiabile risultato sul deficit degli Stati Uniti – il passivo del bilancio pubblico sarebbe quasi dimezzato, passando dai 1.128 miliardi di quest’anno (il 7,3% del Pil) ai 641 miliardi del 2013 – ma affosserebbe il Pil, riporterebbe la disoccupazione ben oltre il 9% (ora siamo sotto l’8%) e peggiorerebbe la crisi globale. Un rallentamento della prima economia del pianeta toglierebbe spazi di mercato alle esportazioni europee ed asiatiche, soffocando una ripresa che, per l’Italia e l’Europa, si prevede comunque apatica.La "catastrofe" sarebbe graduale, perché gli effetti dei tagli di spesa o degli aumenti delle tasse si sentirebbero solo dopo qualche mese. Ma avremmo anche bruschi cataclismi privati: ad esempio gli assegni di emergenza ai disoccupati, in media da 250 dollari a settimana, sparirebbero già dal prossimo martedì. E nel dubbio sul loro effettivo reddito netto per l’anno prossimo molti cittadini hanno già ridotto le spese, mentre le aziende, nell’incertezza fiscale, tengono in sospeso gli investimenti. Wall Street si aspetta una soluzione, ma ora inizia a mostrarsi preoccupata davvero (ieri era sotto di oltre l’1%, poi ha chiuso a -0,1%).Barack Obama, tornato dalle Hawaii, ha chiamato i leader di repubblicani e democratici per proporre una nuova soluzione e la Camera è stata convocata d’urgenza per domenica. Vorrebbe un’intesa "minima", l’ultima soluzione – senza successo – prevedeva il rinnovo di tutti i tagli fiscali esclusi quelli per chi guadagna più di 250 mila dollari. John Boehner, repubblicano e presidente della Camera, aveva proposto ai compagni di partito una tetto a 1 milioni di dollari ottenendo un rifiuto. Larry Reid, leader dei democratici, ieri si è mostrato preoccupato. «Sembra che siamo diretti verso il
fiscal cliff» ha detto col tono rassegnato di chi, prima di schivare il baratro, vuole aumentare ancora un po’ la
suspense.