Immigrati musulmani a Chistchurch, dopo la strage di questa mattina (Ansa)
Esempio di democrazia e integrazione nell’emisfero australe, la Nuova Zelanda ha affrontato negli ultimi anni, come tutti i paesi industrializzati, un aumento della presenza di immigrati. Per la sua posizione geografica provengono soprattutto dall’Asia meridionale, in particolare Pakistan, Afghanistan, Bangladesh, India, Myanmar, ma anche Cina e sud-est asiatico, soprattutto Indonesia. Ciò ha determinato la crescita della presenza di musulmani, anche se nell’ultimo censimento del 2013 si aggirava ancora sull’1 per cento della popolazione.
Sempre per la sua posizione geografica la Nuova Zelanda viene spesso messa a confronto con l’Australia, sebbene sul tema dell’immigrazione le posizioni siano molto diverse. La prima grande differenza tra i due paesi sta nel fatto che in Australia i migranti (in fuga da guerre, persecuzioni, ma anche da economie non sviluppate) ora arrivano via mare, nelle cosiddette people boats, attraverso l’Isola di Natale, territorio australiano di fronte all’Indonesia, lembo di terra che si è guadagnato l’appellativo di ‘Lampedusa australe’. Per fermare l’arrivo di queste imbarcazioni l’Australia ha messo in piedi un durissimo sistema di controllo, deportando gli interi equipaggi (compresi donne e bambini) nei centri di detenzione fuori dai propri confini, con quelli attualmente ancora attivi in mezzo al Pacifico di Nauru e di Manus, isola che appartiene alla Papua Nuova Guinea.
Per le condizioni di vita in cui i migranti vivono l’Australia è finita sotto accusa da parte di ong e della stessa Onu. La Nuova Zelanda non ha questo tipo di problema e la presenza di immigrati è regolata da un numero determinato di accessi per anno: 750 dal 1987 al 2018, poi 1.000 compreso il 2019, fino a salire a 1.500 da luglio 2020, così come annunciato nell’ottobre scorso dalla premier laburista Jacinda Ardern. Una politica di accoglienza che prevede finanziamenti per 6 milioni di dollari in quattro anni, nuovi alloggi pubblici per i migranti sparsi su tutto il territorio neozelandese e la ristrutturazione da oltre 7 milioni di dollari per il più grande centro di accoglienza, a Mangere, sobborgo di Auckland. Una politica di accoglienza fortemente criticata dal leader del Partito Nazionale (all’opposizione), Simon Bridges, che ha già detto di non essere certo di rispettarla a pieno se dovesse vincere le prossime elezioni, in programma nel novembre 2020.