Propaganda bellicistica nucleare iraniana in una piazza di Teheran - Ansa
L'ultimo, in ordine di tempo, è stato il Perù che, il 23 dicembre scorso, è diventato il 59esimo Paese a ratificare il divieto Onu sulle armi nucleari. Nemmeno la pandemia, dunque, è riuscita a fermare l’allargamento del fronte per l’eliminazione definitiva dell’atomica. Decisa dall’Assemblea generale nel 2017, la proibizione è già operativa da un anno. Eppure ancora oltre 13mila gli ordigni sono conservati negli arsenali delle potenze nucleari. E dei loro alleati, Italia inclusa. La Penisola – in quanto membro della Nato – ospita quaranta testate, secondo i dati dell’International campaign against nuclear weapons (Ican), e non figura fra le parti del Trattato Onu. A una settimana dal primo anniversario del bando, Giuseppe Notarstefano, Emiliano Manfredonia, Giovanni Paolo Ramonda, Cristiana Formosa e Gabriele Bardo e il vescovo Giovanni Ricchiuti, rispettivamente presidenti e responsabili di Azione Cattolica, Acli, Comunità di pace Giovanni XXIII, Movimento Focolari Italia e Pax Christi, hanno levato la propria voce all’unisono per chiedere una svolta.
«Intendiamo rinnovare il nostro appello affinché il nostro Paese ratifichi il Trattato Onu, unendosi così agli oltre cinquanta Stati che l’hanno giù fatto. Chiediamo che il governo del nostro Paese sia presente, almeno in qualità di osservatore, alla Conferenza di Vienna di marzo, in cui si riuniranno tutti i Paesi che hanno ratificato il Trattato Onu», si legge nel documento diffuso ieri. Non è la prima volta, che le realtà cattoliche italiane fanno fronte comune contro l’atomica. Lo scorso giugno, i firmatari della lettera, insieme ad altri trentanove rappresentanti di movimenti e associazioni avevano sottoscritto la lettera-appello “Per una Repubblica libera dalla guerra e dalle armi nucleari”, chiedendo al Parlamento di aderire al divieto. Un’iniziativa importante. Che i cinque rilanciano, invitando tutti i 44 gruppi firmatari a una giornata di «riflessione, approfondimento teologico, discernimento», il 26 febbraio. «Come credenti non possiamo essere spettatori passivi. Vogliamo stimolare il dibattito e far crescere la consapevolezza dal basso – spiega don Renato Sacco, consigliere nazionale di Pax Christi –. Affinché questo smuova la politica». La società civile è in gran parte contraria all’atomica. Lo ha dimostrato l’intensa partecipazione alla campagna “Italia ripensaci”, organizzata dalla Rete pace e disarmo e Senzatomica, partner di Ican, che venerdì e sabato prossimo promuove un doppio evento virtuale per l’anniversario del bando. La forza della mobilitazione internazionale si sta rivelando tutt’altro che secondaria nel promuovere il cambiamento. Dal 2019, i produttori di testate hanno perso oltre 63 miliardi di dollari in seguito alla decisione di banche, fondi pensione e compagnie di assicurazione di disinvestire dal settore per andare incontro alle istanze dei propri clienti. Anche la politica, per quanto resistente, deve, in qualche in modo, farci i conti. Perfino i Grandi.
Non a caso, meno di dieci giorni fa, le cinque potenze economiche ufficiali e membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu – Usa, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina – hanno ammesso che l’unico modo di vincere una guerra nucleare è non farla. Certo, niente hanno detto sulla disponibilità a rinunciare agli arsenali. Ma si tratta comunque di una presa di coscienza della pericolosità dell’attuale equilibrio basato sulla minaccia atomica. Proprio ieri, l’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha definito «possibile» un accordo sul nucleare con l’Iran. Sempre più l’equilibrio basato sulla minaccia sembra inadeguato a garantire la sicurezza internazionale.