La guerra civile che infuria in Myanmar non risparmia neanche i monasteri buddhisti - Ansa
Sono almeno trenta i civili e tre i monaci uccisi durante un’incursione dei militari birmani in un monastero buddhista nel villaggio di Nan Nein, nello Stato Shan meridionale. A diffondere le notizie sull’ennesima strage di persone inermi da parte della giunta che ha preso il potere in Myanmar il primo febbraio 2021, è stata la Forza di difesa delle nazionalità karenni (Kndf), una delle milizie etniche che si oppongono con le armi al controllo del regime militare.
Il villaggio sarebbe stato bombardato dall’alto e, successivamente, sottoposto a rastrellamento. Gli abitanti che erano rifugiati nel monastero sono stati passati per le armi, insieme ai religiosi che avevano dato loro ospitalità. In un video diffuso dallo stesso Kndf, si vedono una ventina di corpi, alcuni con le vesti arancione dei monaci, addossati a una parete del monastero e i fori dei proiettili sulle mura del complesso che li ospitava.
Non è la prima volta che un centro religioso buddhista viene colpito, nonostante il buddhismo sia di fatto religione di Stato nel Paese e gli stessi capi del regime, a partire dal generale Htein Sein, non perdano occasione di manifestare la propria appartenenza alla religione buddhista. Proprio un anno fa, altri due monasteri erano stati bombardati da aerei nell’area di Kalay in una regione, quella centrale di Sagaing, dove più intesi sono combattimenti. Anche in questo caso si trattava di luoghi ritenuti sicuri dove avevano trovato rifugio centinaia di civili, ma tra le vittime si sono contati anche bambini.
I centri religiosi, impegnati nel soccorso agli sfollati e alle vittime del conflitto civile, sono finiti spesso nel mirino per il timore che offrano supporto alla resistenza. D’altra parte, le minoranze religiose sono guardate con sospetto, sia perché ritenute meno “patriottiche”, sia per i loro rapporti con l’estero, anche sul piano dei finanziamenti per attività caritative o da utilizzare nelle emergenze. Chiese, centri parrocchiali e strutture sociali sono stati occupate dai militari o devastati, sacerdoti sono stati arrestati e si contano diverse vittime tra gli operatori umanitari e semplici fedeli. Pochi giorni fa, un villaggio con popolazione in parte cattolica nella diocesi di Mandalay è stato bombardato. Due i bambini tra le vittime.
Sempre nell’area di Sagaing, fonti locali segnalano che almeno 7mila persone, tra cui anche donne incinte, anziani e neonati, sono in fuga dalla municipalità di Khin-U sottoposta a bombardamenti che hanno ridotto in cenere 4mila abitazioni in una settantina di villaggi.
Incapace di venire a capo della resistenza che associa il governo di unità nazionale formato in clandestinità da personalità vicine alla Premio Nobel Aung San Suu Kyi, le forze di autodifesa e le milizie etniche, in difficoltà a mantenere il controllo del territorio anche in vista delle elezioni che è intenzionato a tenere (e vincere) alla scadenza dello stato d’emergenza prorogato fino a luglio, il regime utilizza indiscriminatamente la forza aerea di cui dispone, tra cui anche Sukhoi 30 russi e Ftc-2000 cinesi di recente acquisizione.
Davanti alla fuga di almeno 1,3 milioni di sfollati impossibilitati ad accedere a strutture sicure e stabili, con metà della popolazione a rischio fame, il sei marzo l’Alto Commissario Onu per i diritti umani, Volker Türk, ha sollecitato ancora una volta il sostegno della comunità internazionale per la popolazione a cui la giunta lesina anche il soccorso dall’estero.
«La speranza è ormai scarsa in Myanmar - ha sottolineato -. Il disprezzo per la vita umana e per i diritti umani continuamente mostrato dai militari costituisce un oltraggio alla coscienza dell’umanità».