Di lui non avevano avuto pietà, sparandogli a buciapelo. Ferendolo. Ma il suo intervento ha salvato la vita a parecchi cristiani, che neanche conosceva. Se n’è andato ieri, nel Kenyatta National Hospital di Nairobi, Salah Farah, 34 anni, l’insegnante musulmano ferito dai terroristi di al-Shabaab per avere difeso i
cristiani sul bus lo scorso 21 dicembre. I qaedisti avevano teso un’imboscata a un autobus che si stava dirigendo a Mandera, città nel nord-est del Kenya. Col volto coperto, armati, in tuta mimetica, i militanti avevano cominciato la loro conta mortale con i passeggeri. I musulmani da una parte, i cristiani dall’altra, due gruppi separati. Ma questa volta i musulmani si sono rifiutati di collaborare.
«Gli abbiamo chiesto di ucciderci tutti o di lasciarci andare», aveva raccontato dall’ospedale Salah Farah ai media keniani dopo l’attacco. Anche lui si trovava sul bus. «Appena abbiamo parlato hanno sparato a un ragazzo, e a me». Dopo quasi un mese in ospedale, Salah non ce l’ha fatta. La polizia ha scortato il suo corpo a Mandera, dove viveva e lavorava come vice preside in una scuola elementare.
Aveva quattro figli, e un quinto era in arrivo. La comunità locale ha organizzato una colletta per aiutare la famiglia.«È un vero eroe» ha detto di lui il capo della polizia keniota, Joseph Boinnet: «È morto per proteggere innocenti». Pochi giorni fa a
Voice of America, il giovane insegnante aveva voluto spiegare ancora una volta perché credeva nella convivenza pacifica tra musulmani e non musulmani. «Siamo fratelli», aveva sussurrato: «È la religione a fare la differenza, quindi chiedo ai miei fratelli musulmani di prendersi cura dei cristiani in modo che i cristiani possono prendersi cura di noi».
L'ASSALTO AL BUS, LA CACCIA AI CRISTIANI