Un nido in ospedale - IMAGOECONOMICA
Nel Regno Unito il numero di donne che muoiono in gravidanza, o dopo sei settimane dal parto, ha raggiunto il livello più alto degli ultimi 20 anni, con una maggiore incidenza tra le mamme nere e poco abbienti. Lo ha rilevato uno studio di MBRRACE-UK, un programma nazionale sulla salute materno-infantile di cui è capofila l’Università di Oxford.
Il rapporto segnala che nel triennio che va dal 2020 al 2022 il tasso di mortalità materna è stato di 13,41 decessi ogni 100.000 nati vivi. In termini assoluti è il livello più alto dal 2003-2005. E comunque quasi cinque punti in più rispetto al valore registrato tra il 2017 e il 2019 quando si attestava a quota 8,79. In Italia, giusto per fare un paragone, nel 2020 si sono verificate 5 morti materne su 100.000 nati vivi. Le principali cause di morte sono trombosi e tromboembolia. Seguono, nell’ordine, complicazioni riconducili al Covid-19, alle malattie cardiache e ai disturbi mentali.
I dati portano a galla disparità “evidenti e persistenti” legate a differenze etniche e sociali. Il tasso di mortalità tra le donne di origine africana è leggermente diminuito rispetto al periodo 2019-2021, ma le probabilità di complicazioni fatali sono per queste tre volte maggiori rispetto a quelle delle donne bianche. In generale, i rischi raddoppiano per chi vive nelle aree più povere e depresse del Paese dove i limiti della sanità pubblica britannica sono pure più vistosi.
Marian Knight, responsabile del rapporto, ha denunciato un “sistema sotto pressione”. “Ora più che mai – ha aggiunto – occorre lavorare per un’assistenza materno-infantile più inclusiva e personalizzata già prima della gravidanza”.
Lo scorso febbraio l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato un rapporto sulla mortalità materna redatto da diverse agenzie delle Nazioni Unite segnalando che la portata del problema tra il 2000 e il 2020 si è ridotta complessivamente del 34,3%. Il calo ha riguardato tutto il mondo fatta eccezione per i Caraibi e per il ricco Nord America.