Una donna nella sua casa distrutta a San Juan Piloya, nella zona dell'epicentro (Reuters)
«Una conta dei danni è impossibile. Migliaia e migliaia di case crollate, migliaia e migliaia di sfollati. Tantissime abitazioni sono inabitabili», racconta il vescovo di Cuernavaca, monsignor Ramón Castro, intervistato dal Sir a sette giorni dalla scossa dell’8.2 della scala Richter che ha provocato 324 vittime nella zona centrale del Messico.
Nonostante i collegamenti precari, da giorni il vescovo sta percorrendo il territorio della sua diocesi, che coincide con buona parte del piccolo stato del Morelos, a sud di Città del Messico. Il sisma ha danneggiato anche le «chiese, molte delle quali di grande valore storico e artistico». Secondo le prime stime, prosegue monsignor Ramón Castro, «nella nostra diocesi ci sono centoundici chiese danneggiate che non si possono utilizzare: stiamo improvvisando degli altari nei cortili luoghi per celebrare la Messa ed assistere il nostro popolo spiritualmente».
In questi giorni il vescovo prova ad indirizzare a tutti un messaggio di speranza: «Sono giorni davvero tristi, drammatici, dolorosi, ma sto condividendo con la mia comunità, con il mio popolo, con il mio gregge, un’idea che mi sembra fondamentale. Al vedere quello che è successo, certamente sono crollate le case, le chiese, i paesi, ma non sono crollate la fede, la speranza, la fortezza che ci fanno andare avanti». Per il presule, «il cuore dei messicani ha una grande potenzialità, che si è vista proprio in questi giorni». Straordinaria, infatti, è stata la risposta di solidarietà della popolazione e l’impegno della Chiesa locale, nel dopo terremoto.