Libera, finalmente. Il tribunale sudanese ha ordinato il rilascio di Meriam Yahya Ibrahim. Lo riferisce l'agenzia di stampa di Stato sudanese Suna. "La Corte d'appello ha ordinato il rilascio di Meriam Yahya", si legge, "e la cancellazione della [precedente] sentenza del tribunale". La donna, 27 anni, a febbraio era stata messa in prigione nonostante fosse incinta e avesse con sé un bimbo di 20 mesi. Il 15 maggio era arrivata poi la condanna a morte per apostasia da parte di una corte locale.Secondo uno degli avvocati della donna, Meriam sarebbe già "fuori dal carcere" e domani, martedì, i giudici sudanesi comunicheranno le motivazioni della scarcerazione.Figlia di musulmano (in realtà cresciuta dalla sola madre, di fede cristiana ortodossa), Meriam ha sposato un cristiano. Il suo matrimonio era stato considerato illegale dal tribunale di Khartoum. Per questo era stata condannata anche a 100 frustate per adulterio. Madre di un bimbo di due anni, durante la carcerazione nel penitenziario di Omdurman, nella capitale sudanese, il 27 maggio, aveva partorito la piccola Maya.Qualche giorno fa la Commissione nazionale per i Diritti umani sudanese aveva definito la condanna a morte di Meriam una sentenza in contrasto con la Costituzione, che prevede la libertà di culto. In precedenza Meriam era stata liberata dalle catene per ordine dei medici.La sua vicenda aveva suscitato la commozione, e la mobilitazione, dell'opinione pubblica mondiale. In primo piano, fin dall'inzio, l'impegno di Avvenire. E la generosa riposta dei nostri lettori. 82mila email e 8.200 commenti al sito: tutte le adesioni sono state consegnate all'ambasciatrice del Sudan in Italia.
La Corte di appello ha ordinato la cancellazione della sentenza di morte del tribunale. Determinante, nell'epilogo positivo della vicenda della giovane sudanese, la mobilitazione internazionale nella quale Avvenire e il suo sito si sono posti fin dall'inizio in prima linea.
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