Mahmud con il dottor Nabil Antaki
Ricominciare, dopo che una ferita ha segnato il corpo e di certo, a tutti, ha paralizzato l’anima. Ricominciare «con gli occhi di un bambino», capaci di vedere dopo l’emergenza un nuovo traguardo. E scoprire che «anche un mondo ferito si può colorare di speranza». In Medio Oriente c’è chi la guerra l’ha vista materializzarsi un giorno sotto casa; chi, per fuggire il terrorismo, in una notte ha imparato a vivere da profugo; e chi, nello sforzo di accogliere, ha visto la sua stessa vita cambiare. Per questo le Ong del consorzio Humanity (Ass. Realmonte, Celim, Engim, Fondazione Buon Pastore, Fundacion Promocion Social, FMSI, Punto Missione) con Focsiv rilanciano per il terzo anno la sfida: «Ricominciamo da loro», da chi – nell’età dedicata ai giochi – si trova in un campo profughi, in una scuola nei container, o in una città distrutta da un assedio. Stare fianco a fianco, quest’anno con una attenzione particolare alla resilienza: l’arte di tagliare nuovi traguardi, di superare il dolore del distacco o di una perdita, per trovare anche nel disagio la forza per ripartire. A fianco di chi è stato ferito, i cooperanti di Focsiv, vogliono accompagnare l’uscita dalla prima emergenza e creare le condizioni per tornare a casa. Ricominciare. E ricostruire. Qui tutti gli aggiornamenti sulla campagna.
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Sogna di ricevere un giorno, magari da qualche amico italiano, una maglietta del “Barça” con il numero 10 di Messi. Sarebbe una bella sorpresa anche per Youssef, il suo miglior amico, ora che lo incontra tutte le mattine a scuola. Ma Mahmud – 8 anni e un sorriso dolcissimo sotto due occhioni castano scuri – non sa, mentre ti saluta con un tenero bacio sulla guancia, di essere già lui un vero “fuoriclasse”.
Ogni mattina, con l’aiuto di un volontario dei “Maristi blu” va nella sua scuola elementare ad Aleppo e, attraversati atrio e corridoi, quando si siede al banco toglie entrambe le protesi alle gambe. I due moncherini si appoggiano con naturalezza anche sul divano di casa, mentre una specie di cinturino, stretto appena sotto il ginocchio destro, permette di agganciare una matita o una penna: 1, 2, 3, scrive, o incomprensibili lettere arabe. Le gambe, Mahmud al-Khalaf, le ha perse il 27 novembre del 2015 mentre con mamma Hamar e lo zio Khaled stava fuggendo da Tadef, la sua cittadina caduta da un anno in mano al Daesh.
Civili usati come scudi umani durante i combattimenti e per questo da trattenere a forza nelle loro abitazioni: una fuga proibita dal Califfato. Anche per la famiglia al-Khalaf, con quel piccolo nato senza braccia: «Con le dita del piede mangiavo e scrivevo », racconta Mahmud capace nella sua prima infanzia a Tadef anche di aprire la porta di casa e di dare calci al pallone, con i suoi due piedi. Ma quella maledetta mina, sulla strada indicata nella notte dal “passeur” per fuggire fino ad Aleppo, in un istante ha squarciato le budella dello zio, uccidendolo, e fatto a brandelli gli arti inferiori del bambino.
Una tragedia, per mamma Hamar: un dolore che impietrisce ancora il sorriso della donna, mentre per salvare la vita al piccolo Mahmud si rese necessaria l’amputazione delle gambe. L’operazione avvenne nella regione di Tadef, ma Mahmud aveva bisogno di cure specialistiche. Dopo una trattativa durata alcuni mesi, questa volta il Daesh diede il permesso di raggiungere Aleppo. Nonostante la guerra civile nella metropoli c’erano e ci sono ancora validi ortopedici e uno specialista in grado di montargli due protesi agli arti inferiori.
Sono i “Maristi blu” – espressione di Fmsi (Focsiv) che partecipa alla CAMPAGNA HUMANITY «Con gli occhi di un bambino» – a prendersi cura di Mahmud e della sua famiglia attraverso il programma “Civili feriti di guerra”: in particolare è il dottor Nabil Antaki, gastroenterologo di fama e nel direttivo dell’associazione, a coordinare gli interventi. Grazie a una sottoscrizione popolare al piccolo sono già state assicurate le protesi e l’istruzione fino al raggiungimento della maggiore età. Un primo passo.
Quando lo sviluppo si sarà completato, sarà possibile anche progettare due braccia bioniche che, sfruttando il movimento dei muscoli delle spalle, possono ridare una certa autonomia a chi nasce senza omero. Analizzando le foto e i dati di una scheda medica, il Centro protesi dell’Inail di Budrio (Bologna) ha un realizzato un progetto per le braccia artificiali: quello che serve per realizzarlo è una gara di solidarietà – per pagare viaggio, soggiorno e le protesi – in modo da poter riempire con due belle braccia la maglia di Messi. Sarebbe un gol da campione per Mahmud, un “fuoriclasse” fra i quaderni e i banchi di scuola di Aleppo.