«Ho resistito grazie a voi». Appena uscito dalla stazione di polizia di Curitiba, dove è rimasto recluso diciannove mesi, l'ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva è salito su un palco improvvisato davanti alla folla che lo attendeva da ore. E ha voluto subito ringraziare i fedelissimo del Partito dei lavoratori (Pt). Poi se n'è andato visibilmente commosso verso Sao Bernardo Campos, vicino a San Paolo dove domenica ci sarà la grande festa di bentornato.
A decidere la scarcerazione è stata la giudice Carolina Lebbos, della dodicesima sezione di esecuzione penale dello Stato del Paraná. A schiudere le porte della stazione di polizia di Curitiba all'ex presidente era stata, nella notte tra giovedì e venerdì, la Corte Suprema. Al termine di un’udienza-fiume – la quinta sulla questione –, il presidente dell’alto tribunale, Antonio Dias Toffoli, ha emesso il voto definitivo.
Spostando l’ago della bilancia – sei contro cinque – a favore dei sostenitori dell’incostituzionalità dell’articolo 283 del codice penale. Questo, in vigore dal 2016, è stato approvato sull'onda dell'indignazione collettiva contro le tangenti suscitata dalla maxi inchiesta Lava Jato. Da allora, ha portato dietro le sbarre 4.894 persone, trentotto delle quali coinvolte in Lava Jato. Tra loro, Lula a Curitiba dal 7 aprile 2018 per scontare una sentenza a otto anni e dieci mesi per corruzione passiva e riciclaggio.
Ora, buona parte - tutti quelli che non rappresentano un pericolo per la società - dovranno essere rilasciati. Lula è stato fra i primi dato che la difesa si è precipitata a presentare l'istanza. Il processo e il verdetto contro quest'ultimo non sono stati abrogati. La liberazione avviene per una questione tecnica. E' indubbio, però, che sugli alti togati abbia pesato il mutato clima sociale nei confronti di Lava Jato. A differenza di tre anni fa, l'indagine e il suo protagonista, Sergio Moro, non godono più di consenso unanime. L'ex giudice e ora ministro della Giustizia del governo di Jair Bolsonaro, è stato screditato da un'inchiesta di The Intercept che ha pubblicato, a giugno, una serie di messaggi scambiati via Telegram fra gli inquirenti di Lava Jato.
In alcuni di essi, Moro - che aveva funzione giudicante - sembrava "imbeccare" i pm per "incastrare" gli imputati. Da allora, la Corte Suprema è stata investita di ricorsi. Oltre a quello sulla costituzionalità della carcerazione dopo la seconda istanza, altri due rischiano di distruggere la macchina accusatoria creata da Lava Jato. Nelle prossime settimane, gli alti togati dovranno pronunciarsi sulle modalità di impiego dei collaboratori di giustizia. E sulla legittimità delle azioni dello stesso Moro. Questione, quest'ultima che vede in prima linea la difesa di Lula. In caso di pronunciamento favorevole, i processi e le sentenze verrebbero abrogate. E Lula sarebbe allora, completamente libero