È «importante che la comunità internazionale parli con una voce sola», ripeteva ieri pomeriggio al Cairo il sempre compassato Ban Ki-moon. Ma la fatica nel riuscire a tenere insieme – a sole 48 ore dall’inizio dell’operazione «Alba dell’Odissea» – la coalizione dei volenterosi e i suoi fiancheggiatori deve essere sembrata sfibrante al pur sempre compassato segretario dell’Onu. A preoccuparlo, più che un manipolo di scalmanati pronto ad aggredire il suo corteo vicino a piazza Tahrir, le rimostranze del segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa. La Lega «sta con l’Onu e la comunità internazionale», assicurava nella conferenza stampa congiunta, subito dopo il faccia a faccia, il leader delle Nazioni Unite. «Abbiamo dato un apporto decisivo» per far approvare la risoluzione 1973, incalzava lo stesso Moussa che sottolineava la preoccupazione di preservare le popolazioni civili. Una intesa ristabilita, dopo una girandola di telefonate e dichiarazioni che non potevano far dimenticare il severo monito giunto dal Cairo domenica pomeriggio: «Si è andati oltre l’obiettivo di imporre una no-fly zone. Quello che vogliamo è proteggere i civili», aveva affermato un irritato Moussa. Immediate le repliche di Obama, Sarkozy e Cameron: stiamo applicando alla lettera il testo approvato in Consiglio di sicurezza, la comune giustificazione ai violenti raid iniziati sabato pomeriggio. Ma il disappunto della Lega Araba era troppo evidente per non meritare attenzione e rassicurazioni capaci di scongiurare un disastro diplomatico capace di mettere a rischio la riuscita dell’intera operazione e, potenzialmente, cambiare la percezione dell’intera “primavera araba”. Una Lega Araba certo scettica nonostante le telefonate di David Cameron e i sottili distinguo dell’alto commissario Ue Catherine Ashton e che oggi – anniversario della sua fondazione – riunisce i suoi delegati. Un vertice che potrebbe sfogare tutti i malumori della regione e portare a clamorosi ripensamenti dopo il summit del 12 marzo in cui, espulsa la Libia dall’organizzazione, la Lega chiese l’imposizione della no-fly zone aprendo la strada alla risoluzione Onu.Se la Lega Araba è a dir poco perplessa su un mandato internazionale non chiaro, o almeno male interpretato, l’Unione Africana (Ua) appariva già domenica defilata e apertamente contraria all’iniziativa dei volenterosi. A poche ore dal lancio dei primi missili Tomahawk il comitato dell’Ua riunito a Nouakchott aveva chiesto lo stop immediato di tutte le ostilità e aveva pure domandato di poter recarsi a Tripoli domenica per incontrare Gheddafi. Permesso negato e polemica appena sopita: sempre domenica dalla capitale della Muaritania giungevano inviti alla «prudenza» per evitare «gravi conseguenze umanitarie». Il comunicato sottolineava pure la necessità di un’azione africana urgente per risolvere la crisi libica: venerdì ad Addis Abeba sarà convocato un vertice con la Lega Araba, l’Organizzazione della Conferenza islamica (Oci), l’Unione Europea e le Nazioni Unite. L’obiettivo, per il comitato del’Ua composta da Mauritania, Mali, Congo, Sudafrica e Uganda, è quello di creare un «meccanismo di consultazione permanente e di azione concertata» per risolvere la crisi libica.
Luca GeronicoA PALAZZO DI VETRO CRESCE IL FRONTE DEI PENTITILa coesione della comunità internazionale contro il rais libico Muammar Gheddafi non è durata molto. A soli tre giorni dall’approvazione della Risoluzione 1973 che autorizza «ogni misura possibile» per proteggere i civili dal regime libico, il partito degli astenuti che ha permesso il passaggio della misura si è improvvisamente schierato dalla parte del no, anche se con fratture all’interno degli stessi Paesi. A spingerli sono stati i toni aggressivi levatisi da Francia e Stati Uniti, dove il cambio di regime in Libia sta diventando l’obiettivo ufficiale della missione aerea. «La resa di Muammar Gheddafi è l’obiettivo definitivo dell’azione militare intrapresa dalla coalizione occidentale Usa», ha detto esplicitamente ieri il portavoce del dipartimento di Stato Usa. Anche se un portavoce della più cauta Casa Bianca, Ben Rhodes, dall’Air Force One diretto in Cile aveva appena sottolineato che «l’azione non mira a mutamenti di regime».Proprio per discutere il nuovo scacchiere internazionale pro e contro l’intervento militare, il Consiglio di sicurezza si è riunito d’urgenza nuovamente ieri sera, nella speranza che il mondo torni a parlare «con una voce sola» sulla Libia, come ha auspicato ieri il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, al termine di colloqui con la Lega Araba. Il Consiglio ha comunque respinto una richiesta scritta del ministro degli Esteri libico Musa Kousa di una riunione d’emergenza per fermare le azioni della coalizione, definite «un’aggressione militare contro l’unità e l’integrità territoriale della Libia».Invece, era stata proprio la Lega dei Paesi arabi, domenica, a rompere per prima il fronte internazionale, criticando i raid sul Paese nordafricano. Lo stesso Ban ha però ricordato ai leader dell’organizzazione che «le misure forti» in atto sono state possibili proprio e solo grazie al sostegno dato dalla Lega Araba alla risoluzione per l’imposizione di una no-fly zone sulla Libia, che i vicini di Gheddafi chiedevano a gran voce da giorni.Ma se il segretario generale della Lega, Amr Moussa, ha più tardi confermato il suo sostegno all’intervento armato (ma con la cautela di proteggere i civili), gli altri membri del Consiglio che con la loro astensione avevano permesso il passaggio del voto di giovedì hanno bersagliato di critiche il Palazzo di Vetro e i Paesi autori dei raid. La riunione del Consiglio è stata infatti reclamata dalla Cina, sulla base di una lettera della Libia e una richiesta della Russia. Quello russo è stato il dietrofront più radicale, che ha messo in evidenza profonde divisioni interne al Cremlino. Il primo ministro russo, Vladimir Putin, ha definito la Risoluzione 1973 «ambigua e carente», paragonandola a una «chiamata alle Crociate come nel Medioevo», e aggiungendo che l’esistenza di un regime quale quello di Muammar Gheddafi di per sé non autorizza un’operazione bellica del genere. Poche ore dopo, però, il presidente russo Dmitrij Medvedev ha definito «inaccettabile» il commento del suo predecessore: «In nessun caso si possono usare espressioni che in sostanza portano a conflitti tra civiltà», ha detto Medvedev, ribadendo l’appoggio di Mosca per una risoluzione «giusta» e offrendosi come mediatore della crisi in Medio Oriente. Intanto dal Cairo il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, dopo un incontro con il suo collega egiziano, Nabil El Arabi, chiedeva l’alt immediato alle operazioni militari.Cambio di direzione anche in Cina, che giovedì scorso aveva scelto di non esercitare il suo diritto di veto per bloccare la risoluzione sulla Libia. Pechino ha espresso «rammarico» per l’attacco militare e, tramite il ministro degli Esteri Yang Jiechi.Un altro «nì» si è trasformato in «no» in l’India, che ha chiesto all’Occidente di interrompere i bombardamenti sulla Libia e di riprendere i negoziati invece di metter fine con la violenza al regime di Gheddafi. L’India è uno dei cinque membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che la scorsa settimana si è astenuta dal votare una risoluzione a favore dell’imposizione di una no-fly zone sulla Libia.
Elena Molinari