giovedì 9 gennaio 2020
Lo spazio aereo e il territorio sono oramai una sorta di bene «disponibile»
La sovranità del popolo iracheno sorvolata ancora una volta dai razzi
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L’escalation tra gli Stati Uniti e l’Iran ha fatto ancora una volta un’altra vittima eccellente: la sovranità irachena. Il confronto, condotto a suon di missili, si svolge nei territori di un Paese ufficialmente sovrano, trasformato suo malgrado in una “no man’s land” in cui i cieli e le terre diventano una sorta di «beni indisponibili» dello Stato. Informando magari Baghdad dei loro piani. Così, il premier iracheno Adel Abdul-Mehdi che aveva riferito venerdì di essere stato avvisato da Washington pochi minuti prima del raid contro Soleimani, è tornato ieri a dichiarare di aver ricevuto dopo la mezzanotte un avvertimento verbale da parte dell’Iran (poi passato agli americani) in cui gli è stato comunicato che la risposta all’uccisione del generale sarebbe iniziata a breve contro le basi Usa.

Una magra consolazione per le autorità irachene, che si vedono affidare il ruolo di casella postale per conto dei belligeranti, o peggio da testimoni della fine del sogno di vedere il loro Paese libero dalla duplice morsa americano- iraniana in cui è stretto dal 2003. «Né Usa né Iran», hanno scandito milioni di civili iracheni negli ultimi mesi, per dire no a una guerra per procura nel loro Paese, in cui le vittime sarebbero soprattutto irachene. Gianandrea Gaiani, direttore di “Analisi Difesa”, ricorda che l’accordo militare fra Iraq e Usa «prevede di ospitare queste forze militari per aiutare gli iracheni a combattere il Daesh, non per accoppare chiunque voglia Trump». Il presidente non è comunque nuovo a simili atteggiamenti. Nella notte di Natale del 2018, era atterrato con la first lady, senza avvisare i padroni di casa, nella base di Ain al-Asad (la stessa colpita dai pasdaran iraniani), nella sua prima visita da comandante in capo dell’esercito statunitense.

L’improvvisata aveva alzato le critiche delle autorità irachene, che non avevano avuto remore a parlare di «insulto alla sovranità nazionale», anche perché non vi era stata la visita al premier Abdul-Mehdi, programmata in un primo momento. Alcuni deputati avevano quindi sollecitato una seduta straordinaria del Parlamento per discutere delle «palesi violazioni alla sovranità nazionale e per fermare gli stolti atteggiamenti di Trump che deve capire che l’occupazione americana dell’Iraq è finita». Peggio. Nel suo discorso, Trump aveva spiegato ai militari americani che quella base verrà utilizzata anche per future azioni in Siria, cosa che aveva fatto infuriare altri deputati iracheni. Si potrebbe obiettare che la sovranità dell’Iraq risulta ridotta ormai da decenni, prima ancora della caduta di Saddam Hussein nel 2003.

L’istituzione della “no fly zone”, voluta in primis dagli Usa per impedire all’aviazione del dittatore di bombardare i curdi, ha dato il primo colpo di piccone alla piena sovranità di Baghdad. I vicini dell’Iraq non sono stati comunque da meno in tutto questo periodo. I soldati turchi e iraniani non hanno mai esitato a sconfinare in territorio iracheno per dare la caccia a formazioni curde ostili, nonostante le proteste di Baghdad. Nel 2015 gli iracheni hanno fatto notare che Ankara ha abbattuto un caccia russo che aveva violato per 17 secondi il suo spazio aereo, mentre se ne impipa bellamente della loro sovranità, entrando ben più in profondità e per diversi giorni. La sovranità sembra, purtroppo, una questione di opinioni.

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