La madre di Navalny - Ansa
La rabbia e il coraggio di Yulia Navalnaya da una parte e l’ira del Cremlino dall’altra. La vedova del dissidente, morto il 16 febbraio in condizioni ancora tutte da chiarire, dopo aver annunciato di voler raccogliere l’eredità politica del marito, è passata all’azione: ha chiesto all’Ue di non riconoscere le elezioni presidenziali che si svolgeranno il mese prossimo e alle quali Vladimir Putin si presenta per un quinto mandato. «Un presidente che ha ucciso il suo principale avversario politico non può essere legittimo per definizione», ha affermato la vedova del dissidente, mentre il suo team ha aggiunto che a queste elezioni sono stati ammessi solo candidati inoffensivi e anche con posizioni non troppo dissimili da Putin, pure sulla guerra in Ucraina.
Parole che non sono state prese bene dal Cremlino. Il portavoce, Dmitrij Peskov, ha specificato che il presidente Putin non ha visto il video con cui Yulia Navalnaya è scesa ufficialmente in politica, ma ha definito le accuse lanciate “Infondate e volgari”. Si va avanti a botta e risposta, con qualche sgambetto, come quello fatto ieri da Elon Musk proprio a Yulia Navalnaya, oscurando per un breve periodo il suo account su X per violazione delle regole e dando vita a forti proteste sul web.
Dalla piazza Rossa è partita una vera e propria caccia alle streghe dalla quale sembra proprio non salvarsi nessuno. E così, Liudmjila Navalnaya, madre del dissidente, che subìto il dolore della morte di un figlio, ha visto il suo secondogenito, Oleg – fratello di Alexsei – finire sulla lista dei ricercati. Ma le donne della famiglia Navalny sembrano avere in comune la determinazione. Infatti, nonostante questa ennesima cattiva notizia, Liudmjila ieri è tornata ad attaccare con le autorità, rivolgendosi direttamente al presidente Putin. «È il quinto giorno che non me lo fanno vedere, non mi dicono nemmeno dove si trova – ha spiegato la donna in onda sul canale Navalny di Youtube –. Faccio appello a lei, Vladimir Putin. Risolvere questa questione dipende da lei soltanto. Mi permetta finalmente di vedere mio figlio. Chiedo che il corpo di Alexsei mi venga consegnato perché io possa seppellirlo umanamente». L’unica cosa alla quale ha pensato il Cremlino, fino a questo momento, è stato promuovere il vicedirettore dei servizi penitenziari (Fsin), Valerij Boyarinov, colui che ha coordinato le torture contro Navlany, a colonnello generale dei servizi interni.
Sulla lista nera del Cremlino è finito persino il senatore Usa Lindsey Graham, inserito nell’elenco di persone sospettate nel coinvolgimento in attività estremistiche o terroristiche. Tra giorni fa, negli Stati Uniti, aveva chiesto di designare la Russia come Stato terrorista. Un consigliere dell’Ambasciata francese a Mosca è stato condannato a 18 mesi di reclusione per spionaggio e il Servizio di sicurezza federale a Ekaterinburg ha arrestato una donna con la doppia cittadinanza russo-americana con l’accusa di spionaggio. Brutte notizie anche per Evan Gershkovich, il giornalista americano di origine russa condannato, sempre con l’accusa di spionaggio, a 20 anni di prigione. La magistratura russa ha respinto il ricorso presentato dalle autorità americane sulle sue condizioni di detenzione. E sempre per parlare di libertà di stampa, Radio Free Europe/Radio Liberty (Rfe/Rl), la storica testata finanziata da Washington dai tempi della Guerra fredda, è stata dichiarata organizzazione indesiderata, con tutte le limitazioni del caso alla sua attività.
Non va meglio in Bielorussia: Igar Lednik, ex membro del Partito socialdemocratico bielorusso (Gramada), attivista e giornalista, è morto in carcere. Di recente era stato operato all’addome.