«L’intenzione annunciata da Israele di “evacuare”, in realtà trasferire forzatamente, la gran parte della popolazione di Gaza fuori dalla Striscia ha messo in allarme tutte le istituzioni internazionali, dall’Onu alla Croce Rossa Internazionale e, finalmente, si registrano anche reazioni contrarie da parte di esponenti di Governi che fino ad ora hanno prestato un supporto sostanzialmente incondizionato a Israele. Appelli così allarmati dimostrano che siamo arrivati a una fase nuova del conflitto e che si è superata “la linea rossa”». Chantal Meloni, docente di Diritto penale internazionale all’Università degli Studi di Milano, ha lavorato presso la Corte penale internazionale dell’Aja ed è membro del Centro europeo per i diritti costituzionali e umani (Ecchr). E’ rappresentante legale delle vittime nella “situazione Palestina” di fronte alla Corte penale internazionale.
Come valuta il piano di “evacuazione umanitaria” da Gaza?
«E’ un progetto particolarmente grave. Non è chiaro quanto sia concreto, ma tutti sanno fin troppo bene che rappresenta il punto di non ritorno per la popolazione palestinese di Gaza. Per loro sarebbe una seconda “Nakba”, la catastrofe, come i Palestinesi chiamano ciò che è avvenuto nel 1948, quando sono stati costretti a lasciare le loro case. Il risultato sarebbe di fatto lo spopolamento dell’intera Striscia, che è la casa per 2,3 milioni di Palestinesi. Il rischio concreto è che non possano più rientrare a Gaza».
Il Diritto internazionale pone dei limiti a questo genere di evacuazioni?
«Il Diritto internazionale umanitario pone le regole ai conflitti armati e proibisce certe azioni: fra queste la deportazione e il trasferimento forzato della popolazione civile, che integrano un “crimine di guerra”. Israele ha dichiarato non solo di voler “spostare” la popolazione civile, ma anche di stare pianificando un’operazione militare di terra a Rafah, dove si trovano un milione e cinquecentomila persone. Da questo dipende la preoccupazione internazionale. Si è consapevoli che un’azione militare in questa situazione causerebbe conseguenze tragiche, del tutto sproporzionate per i civili. Il rischio elevatissimo è di compiere una carneficina, come ha avvertito anche la Santa Sede che ha fatto un appello chiarissimo, contestato da Israele. Ciò che il Vaticano ha spiegato è semplicemente quello che sanno e pensano tutti: sarebbe un vero e proprio crimine di guerra, previsto dall’articolo 8 dello Statuto della Corte penale internazionale».
Quali sono gli elementi chiave?
«Va analizzato il contesto di un’operazione bellica che negli scorsi quattro mesi ha di fatto raso al suolo oltre la metà degli edifici di Gaza, compresi ospedali, infrastrutture civili, università, scuole, abitazioni, centri culturali e religiosi, in un quadro di distruzione che va ben oltre a quelli che erano gli obiettivi militari dichiarati. Se a questo aggiungiamo il dichiarato intento di spostare la popolazione, già sfollata plurime volte in queste settimane, allora si comprende come il vero scopo sia quello di rendere Gaza non più vivibile e allontanare i Palestinesi da Gaza».
C’è qualcosa che secondo le norme è possibile e necessario fare?
«La Corte penale internazionale, sebbene non abbia certo il potere di porre fine al conflitto, potrebbe giocare un ruolo, oltre che sul piano della punizione dei crimini, anche sul piano della prevenzione, il che è, almeno in linea generale, uno degli scopi della giustizia penale internazionale. Karim Khan, l’attuale procuratore dell’Aja, ha ereditato una indagine avviata nel 2021».
Crede che questo possa fermare la guerra? Putin è ricercato, ma il conflitto in Ucraina non è chiuso, per fare un solo esempio.
«In realtà i mandati di cattura della Corte penale internazionale comportano sempre delle conseguenze, anche se non eseguiti, a livello di relazioni internazionali. Quello che auspichiamo è un’azione più incisiva della Corte e che le indagini conducano presto all’emissione di mandati di arresto, non solo per i crimini commessi da Hamas, che non dubito arriveranno, ma anche per i crimini da parte israeliana. Si ipotizza che i primi mandati possano riguardare le azioni violente dei coloni in Cisgiordania, anche alla luce delle recenti sanzioni varate da Usa e Regno Unito contro alcuni di essi, il che dimostra che vi è una sorta di consenso politico sul punto. Ma questo non basterebbe, se tali crimini non venissero ricondotti a politiche dello Stato, e se le indagini, oltre ad Hamas, non includessero coloro che in Israele hanno pianificato, ordinato ed eseguito le operazioni militari a Gaza in violazioni delle regole del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani della popolazione civile».