Ansa
Il primo ottobre la Repubblica popolare cinese ha ricordato il 75° anniversario dalla fondazione. Una ricorrenza salutata con orgoglio e dichiarazioni di apertura a un futuro di prosperità, anche se con spiragli di ammissione di una situazione non più ottimale. A partire dalla contrazione economica e demografica e la difficoltà di portare ai livelli necessari un welfare che si confronta con spese militari e investimenti all’estero nel confronto persistente con la superpotenza statunitense e nel sospetto crescente di Europa e nazioni vicine.
Fra le considerazioni possibili sull’anniversario è che questo obiettivo era stato solo sfiorato dall’Unione Sovietica prima che – con il sigillo posto dall’ultima riunione del Soviet Supremo il 26 dicembre 1991 - implodesse con una rapidità e modalità non solo inattese dai più ma anche sconcertanti. Modalità che hanno però mostrato come un cambiamento fino ad allora ritenuto impossibile fosse disponibile e pronto a manifestarsi in determinate condizioni.
Una situazione simile a quella sovietica resta l'incubo della dirigenza di Pechino. Il presidente Xi Jinping ne ha sicuramente studiato le ragioni e individuato linee per evitare che il suo Paese segua la stessa sorte. Una conseguenza sono proprio il rafforzamento del controllo sul partito, un ruolo maggiore della disciplina ideologica e il perseguimento dell’autonomia economica, ma c’è da chiedersi se proprio le politiche restrittive del presidente Xi fra altre scelte tese anzitutto a consolidare il potere personale a scapito del principio di collegialità precedente, non abbiano accelerato i fattori di crisi che vanno evidenziandosi e creato potenziali linee di frattura.
Il delicato bilanciamento della necessità di controllo delle risorse, di partenariato internazionale e di crescita è cruciale e lo sarà ancora di più nell’evoluzione dell’attuale crisi globale innescata dall’aggressione russa all’Ucraina con l’intento di destabilizzare l’ordine mondiale.
Oltre a ciò la Cina mostra segni di logoramento, sicuramente economico con la confluenza di crescita ridotta, crisi dell’edilizia, debito pubblico crescente, invecchiamento accelerato della popolazione, ritirata degli investitori stranieri. Fattori negativi che sarebbero un incubo per qualsiasi governo ma nel contesto cinese si confrontano ancora inevitabilmente con la memoria dell’impressionante ventennio di crescita 1991-2011 che ha cambiato il volto del Paese e il suo ruolo globale. Ma oggi la Cina è diversa, passata dalla “necessità” di non scendere sotto 8 per cento di crescita ancora promossa dieci anni fa a una previsione del 2,7 per cento quest’anno e del l’1,5 per il 2025.
È giusto ricordare i tre quarti di secolo di una nazione povera e arretrata nel 1949 salita al rango di seconda potenza mondiale, ma la domanda che aleggia su questo anniversario e sugli obiettivi proposti dai governanti è se sia pronta ad affrontare le prossime sfide accogliendo le difficoltà, le contraddizioni che vanno evidenziandosi e la loro gestione senza che l’insoddisfazione si trasformi in instabilità.