C’è chi dice che il Kenya abbia imparato la lezione del recente passato, e che il referendum di oggi sarà il primo passo per poterlo dimostrare al mondo. Altri, però, sono convinti che proprio il voto sulla nuova Costituzione non potrà che riattizzare quell’odio interetnico che divampò dopo le contestate elezioni presidenziali della fine del 2007 e che provocò nelle prime settimane del 2008 ben 1.300 morti e centinaia di migliaia di sfollati. Se dovesse tornare la violenza, sostengono gli esperti, il Paese guida dell’Africa orientale rischierebbe di sprofondare nell’anarchia. Ecco perché, per precauzione, in tutto il Paese sono stati schierati oltre 63mila agenti.La nuova Costituzione è uno dei quattro punti chiave scaturiti dall’intesa del 2008 fra i due principali contendenti al potere: l’attuale presidente Mwai Kibaki, il grande vecchio della politica keniana di etnia kikuyu, e il premier di etnia luo, Raila Odinga, già comunista poi convertitosi in uomo d’affari con la passione delle auto di grossa cilindrata. Il testo costituzionale è stato affinato dai loro uomini, in un’ottica di compromesso tale che ora entrambi chiedono con forza ai keniani di votare per il sì. Al loro schieramento si oppongono Daniel Arap Moi e William Ruto, di etnia kalenjin ed entrambi provenienti dalla zona della Rift Valley, la più turbolenta nelle violenze post-elettorali di due anni e mezzo fa. Il primo, già maestro elementare, è stato per 24 anni, dal 1978 al 2002, il padre-padrone del Paese guidato con il pugno di ferro; Ruto, invece, attuale ministro dell’Istruzione, «vanta» numerosi scontri con il premier Odinga e aspira a diventare presidente nel 2012. La tensione tra i due schieramenti si è di nuovo innalzata negli ultimi giorni, dopo che a metà giugno tre bombe erano esplose a Nairobi durante un raduno del fronte del «no» causando 7 vittime. Nonostante siano ben 264 gli articoli costituzionali, sono soprattutto tre i punti caldi, quelli in base ai quali molto probabilmente si deciderà l’orientamento dei 12,6 milioni di keniani registrati per il voto. La questione della terra, innanzitutto, con la proposta di porre un tetto alla proprietà privata e la possibilità per lo Stato di confische e redistribuzioni più eque. L’obiettivo è di contrastare chi in passato ha acquisito grandi terreni in maniera illegale, magari per favori politici. Nella fertile Rift Valley, in particolare, i kalenjin hanno fatto man bassa di proprietà all’epoca della presidenza Moi. Altre etnie, come i luo di Odinga, sostengono di essere state a lungo politicamente ed economicamente emarginate. In questo senso i sostenitori del sì sottolineano che la nuova Costituzione sarà in grado di «rimediare a ingiustizie storiche».Gli altri due nodi, che hanno provocato l’esortazione a votare no da parte della Chiesa cattolica e di quella protestante, riguardano l’allargamento delle clausole grazie alle quali è possibile ricorrere all’aborto e l’aumento delle competenze per le Corti islamiche Kadhi. Non molti, peraltro, sarebbero pronti a seguire le indicazioni dei vescovi: stando all’agenzia
Reuters due terzi di cattolici e protestanti sarebbero pronti a votare sì, e il 44% dei fedeli avrebbero maturato dubbi sui leader religiosi dopo le loro indicazioni di voto.La nuova Costituzione – già approvata ad aprile dal Parlamento – prevede peraltro anche importanti riforme istituzionali: si va dalla limitazioni dei poteri del presidente alla devoluzione di molte materie a livello regionale, dal riconoscimento di uguali diritti tra i coniugi fino alla creazione del Senato con poteri di controllo e coordinamento. Secondo un sondaggio, oltre il 60% degli elettori dovrebbe esprimersi per il sì, ma i risultati saranno noti non prima di venerdì. Poi sarà il momento di capire se sarà nato un nuovo Kenya. E se il tutto avrà o meno strascichi violenti.