Quando nel rapido tramonto di Tbilisi tutte le sagome sul vialone del Parlamento si fanno scure, i più impavidi tra i ragazzi che già preparano la decima notte di protesta, vanno in cerca dei poliziotti con l’uniforme senza contrassegno. La leggenda circola da alcuni giorni ed è l’incubo che tutti temono: l’arrivo di rinforzi anonimi forniti da Mosca.
Sabato mattina la capitale georgiana contava una cinquantina di dimostranti arrestati dopo una nottata di lacrimogeni e idranti d’acqua gelata sparata sulla folla, da aggiungere alla contabilità dei 48 giornalisti trascinati in cella nei primi nove giorni di cortei. Fino al capo dell’opposizione Nika Gvaramia: 12 giorni di reclusione con l'accusa di piccolo teppismo e disobbedienza alla polizia. Anche Aleko Elisashvili, leader di “Citizens”, è stato messo in custodia cautelare, in attesa della condanna fino a un massimo di 30 giorni di reclusione.
La presidente Salome Zourabichvili, dichiaratamente a favore dei manifestanti, ha condannato il «terrore e la repressione brutali», accusando le forze di sicurezza di «gravi violazioni dei diritti umani». La frattura tra capo dello Stato e governo non è sanabile. Il primo ministro Irakli Kobakhidze, leader di “Sogno georgiano”, giorni fa ha invitato i giovani a partecipare a un «dialogo pubblico in qualsiasi formato». Secondo il premier «dobbiamo rompere questo circolo vizioso, altrimenti è impossibile per il nostro Paese avere uno sviluppo coerente e completo. Vorrei riaprire la discussione pubblica», ha annunciato.
I manifestanti non si fidano, mentre le proteste stanno dilagando dovunque. Era cominciato tutto a maggio, dopo una serie di contestazioni a intermittenza. Il governo aveva promulgato la controversa «legge russa», una misura che consente all’esecutivo di limitare e vietare le attività di associazioni, organizzazioni, singoli cittadini genericamente accusati di essere «agenti stranieri». Proprio come avviene nella Russia di Putin.
Numerosi e indisturbati si sono fatti vivi i criminali “tithuska”. Esponenti di clan equiparabili alla mafia, in ottimi affari con i clan russi, all’occorrenza si presentano con i modi delle squadracce. Sotto gli occhi della polizia, ieri hanno pestato giornalisti, manifestanti, massacrato di botte chi provava a fermarli. A mezzanotte, dopo ore di tensioni, nessuno tra i “tathuska” era stato arrestato, mentre gli agenti antisommossa non risparmiavano arresti tra i dimostranti.
Ma nelle piazze non si vedono solo i sostenitori dell’opposizione. Ci sono anche elettori che dicono di sentirsi traditi da “Sogno georgiano”. Gente che credeva nei progetti di sviluppo e in un negoziato più vantaggioso in vista dell’ammissione al consesso europeo. Invece hanno dovuto fare i conti con il passo indietro del primo ministro, intenzionato a sospendere fino al 2028 il processo di adesione. Decine di diplomatici e funzionari pubblici si sono dimessi per protestare contro questa scelta e hanno dichiarato il loro sostegno ai dimostranti, che contano diversi elettori pentiti di “Sogno Georgiano”.
Anche oggi sono tornati per strada, stavolta perfino guidati da rabbini, imam e leader religiosi cristiani, mentre le principali vie d’accesso al viale Rustaveli, sono state sigillate dalla polizia per impedire nuove dimostrazioni a ridosso del Parlamento. Un modo per entrare, la folla lo trova sempre. «Il problema è che chiudere le vie d’accesso vuol dire non avere poi vie di fuga quando cominciano a bastonare e arrestare», avverte Vanja mentre distribuisce bandiere blu con il cerchio di stelle dell’Ue. E mascherine per affrontare la consueta cortina di lacrimogeni. La polizia antisommossa picchia duro, ma fino ad ora non è mai stato dato l’ordine di sparare alla folla con le armi d’ordinanza né con i “plasticoni”, i proiettili di gomma che a distanza ravvicinata possono uccidere e da lontano ti lasciano con un buco in faccia. Tra i più giovani c’è chi esprime delusione per quelli che vengono definiti «silenzi dell’Europa». Quell’Unione di cui da Tibilisi alle città su Mar Nero viene sventolato il vessillo che i cannoni ad acqua provano a strappare di mano.
Francia, Germania e Polonia hanno dichiarato di voler sollevare la questione nelle sedi di Bruxelles e alla prossima riunione dei ministri degli Esteri, in vista dell'adozione di eventuali provvedimenti contro il governo georgiano. «Le misure adottate dalle autorità espongono la Georgia all'instabilità sia esterna che interna», si legge in una dichiarazione congiunta delle tre cancellerie. Parole che arrivano quando in Romania è ormai deciso che le presidenziali si dovranno disputare di nuovo a causa delle plateali interferenze del Cremlino. Perciò anche qui sperano che il governo si decida a riconoscere che le procedure di voto dello scorso ottobre hanno registrato falle e manipolazioni, restituendo la parola agli elettori. Ipotesi che a Mosca non prenderebbero bene. Le sanzioni alla Russia hanno fatto della piazza giorgiana un conveniente palliativo moscovita per aggirare i divieti economici della comunità internazionale e far transitare dal Caucaso merci e affari. Nel 2022, primo anno di guerra ucraina, il prodotto interno georgiano secondo dati del Fondo monetario internazionale è balzato del 10,1%. L’anno dopo, la crescita si è fermata a un significativo 4%. Fino alla sorpresa del 2024: una ragguardevole ripresa del 7,6%. Vakhtang Tsintsadze, viceministro dell'Economia, ha spiegato che «rispetto ai tassi medi di crescita economica degli altri paesi candidati all'Ue, la nostra crescita supererà la loro media di 2,5 volte nel 2024».
Chi scende in piazza questi conti li conosce, ma non si lascia illudere. «Mi vergogno a pensare che qui c’è chi si sta rafforzando con la guerra in Ucraina», è il pensiero di Nikoloz, che tra idealismo e lividi sulle braccia, stasera indossa due giubbotti: «Non per il freddo, per attutire le manganellate», spera mentre scorre le notizie su Telegram e guarda che ore sono. Nell’esatto momento in cui le famiglie con bambini a cavalcioni si allontanano dalle festanti vie pedonali della città vecchia, da questa parte del fiume Kura si sentono i primi botti. Come ogni sera Tbilisi sta per indossare l’abito oscuro. Sono le prove generali per la decima notte di protesta. Non si sa ancora se sbucheranno davvero i picchiatori con l’uniforme fantasma. I ragazzi ridono mentre si passano il thermos con il the caldo. Comincia la marcia, dileggiando i politici al governo, prima di un’altra lunga serata di quella che ormai chiamano «incubo georgiano».