lunedì 9 agosto 2021
Il primo volume del Sesto Rapporto di Valutazione del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici non lascia dubbi sulla necessità di agire subito per ridurre le emissioni
«Emergenza climatica, colpa dell'uomo». Codice rosso per il mondo
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Incontrovertibile. Il gruppo di 234 esperti di sessantasei differenti Paesi, riuniti sotto l’egida Onu, non ha più alcun dubbio. Nel nuovo rapporto – il sesto –, l’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) fa piazza pulita dei pochi spiragli di incertezza ancora presenti nel precedente studio, risalente al 2013. Dopo aver esaminato oltre 14mila articoli e pubblicazioni scientifiche, gli scienziati sono giunti alla certezza della responsabilità umana nel riscaldamento globale.

Sono stati gli uomini e le donne dell’era industriale e post a «surriscaldare l’atmosfera, gli oceani e la terra» generando «cambiamenti rapidi e irreversibili» nel pianeta. In particolare, a partire dal XIX secolo, le emissioni prodotte dalle energie fossili hanno fatto aumentare la temperatura di 1,1 gradi.

Mai prima si era arrivati a tanto, come dimostra la più significativa riduzione dei ghiacciai in due millenni e l’intensificarsi dei fenomeni atmosferici estremi, a cominciare dagli uragani.

E questo è solo l’inizio. Anche se le nazioni facessero tagli drastici e immediati alla quantità di gas immessi nell’atmosfera, non riuscirebbero ad evitare un riscaldamento climatico di almeno 1,5 gradi entro i prossimi venti o trent’anni. Un prossimo futuro più caldo – il termine di riferimento è il 2050 – è, dunque, assicurato. Con ciò che questo comporta: ondate di calore più frequenti per territori dove vive un miliardo di persone, siccità prolungate e la scomparsa di alcune specie animali e vegetali. Non tutto, però, è perduto.

Lo studio dell’Ipcc non è un «profeta di sventure». Si tratta, al contrario, come ha affermato il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, di un «codice rosso per l’umanità». Un «assordante campanello d’allarme» – ha aggiunto – affinché la comunità internazionale si decida ad agire. Nella consapevolezza che, con uno sforzo repentino e condiviso, il peggio può e deve essere evitato. Contenendo il riscaldamento entro un livello «accettabile» o almeno compatibile con una vita degna: due gradi in centro anni.

Il nodo cruciale è smettere di aggiungere CO2 a un’atmosfera già satura: la concentrazione di diossido di carbonio è al massimo rispetto ai livelli degli ultimi due milioni di anni, quella di metano e ossido nitroso è la maggiore in 800mila anni. Per raggiungere tale obiettivo, l’unica strada è l’abbandono progressivo delle fonti fossili, per arrivare a un tasso di “emissioni zero” nel 2050. Solo così, l’aumento delle temperature nell’arco di questo secolo resterà contenuto entro i due gradi. In caso contrario, nel 2.100 andrà ben oltre, con picchi di calore a ritmo crescente.

Addirittura si rischia di sfiorare la soglia dei 4,4 gradi: fatto che implicherebbe caldo killer in pratica ogni anno e un innalzamento del livello del mare di oltre un metro, per lo scioglimento della calotta polare in Antartide e Groenlandia. A questi effetti prevedibili – e minuziosamente descritto dall’Ipcc in cinque simulazioni –, si sommano una serie di eventi imprevisti, come l’attuale rallentamento del sistema di circolazione oceanica nell’Atlantico, vitale per stabilizzare il clima in Europa.

Di certo, un aumento di oltre i due gradi, rappresenterebbe un punto di non ritorno: l’ultima volta che il clima ha subito un riscaldamento di 2,5 gradi è stato tre milioni di anni fa, quando ancora non c’era l’essere umano.

Lo scenario è chiaro. La scienza si è espressa senza tentennamenti. Ora la parola passa alla politica. Il rapporto dell’Ipcc – la prima di tre parti che saranno diffuse entro la primavera – sarà sulle scrivanie dei leader internazionali chiamati dall’Onu a Glasgow a novembre per fare il punto sull’accordo di Parigi. E, magari, cercare di andare oltre. Come promesso di recente da Usa e Ue, impegnate ad azzerare le emissioni entro il 2050.

«Non possiamo aspettare. I costi dell’inazione continuano a salire», ha affermato il presidente Joe Biden mentre l’inviato speciale statunitense per il clima, John Kerry, ha chiesto alle «maggiori economie di agire con decisione nei prossimi dieci anni». «L’Ue sta facendo la sua parte. Tutti devono contribuire», ha dichiarato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. «Mettiamo fine ai combustibili fossili prima che distruggono il pianeta», ha aggiunto il premier britannico Boris Johnson. E il presidente francese, Emmanuel Macron, ha chiesto una risposta «proporzionata all’emergenza». Sulla carta, le premesse sono buone. Ora, però, si tratta di passare dalle dichiarazioni di principio agli impegni. Il vertice climatico di Glasgow sarà la prova del fuoco.

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