mercoledì 10 gennaio 2024
il movimento di protesta contro la riforma giudiziaria potrebbe trasformarsi in partito alle prossime elezioni che seguiranno la guerra
Le proteste a Tel Aviv contro il premier Benjamin Netanyahu

Le proteste a Tel Aviv contro il premier Benjamin Netanyahu - Ansa

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Se domani mattina Israele fosse chiamato alle urne, il premier in carica, Benjamin Netanyahu, avrebbe enormi difficoltà a formare un esecutivo: ad oggi, secondo il quotidiano “Maariv”, gli vengono assegnati 19 seggi - un’alleanza di 46 - su 120.
Il Paese è esausto dal conflitto. E in tempi di guerra è impensabile che possa crollare il governo e che, quindi, si possa tornare a votare. Eppure, c’è chi si sta già preparando al “day after” che comporterà - oltre alla ricostruzione dell’enclave - anche quella della democrazia israeliana, saldamente difesa del popolo anti-riforma giudiziaria che ha sfilato per 39 sabati consecutivi lungo Kaplan street, a Tel Aviv. Alcuni tra i leader di questo movimento potrebbero essere i promotori di un nuovo partito, creato dal basso, e libero dalle vecchie dinamiche della Knesset. Tra questi spicca Shikma Bressler, nota per la foto in stile “Delacroix” in cui viene arrestata mentre sfila con la bandiera di Israele. 43 anni, Professoressa di Fisica delle particelle presso il Weizmann Institute, ha guidato una marcia, durata tre giorni, di migliaia di persone partite proprio da Kaplan street, fino a raggiungere Gerusalemme - alla vigilia del voto in Parlamento - per opporsi alla tanto discussa riforma.

Oltre agli organizzatori in prima fila, anche nelle retrovie del movimento sono emersi, a seguito del massacro del 7 ottobre, alcuni volti che potrebbero unirsi ad un possibile nuovo partito della “rinascita”. Tra questi, sicuramente, Yair Golan. Classe 1962, ex generale maggiore delle Forze di Difesa, a seguito di una brillante carriera militare aveva proseguito nella politica, servendo come vice-ministro dell'Economia nel trentaseiesimo esecutivo “arcobaleno” guidato, tra il 2021 e il 2022, da Naftali Bennet. Nonostante i sessant’anni suonati, il “Sabato nero” non ha esitato un istante: si è infilato la vecchia divisa, è salito sulla sua auto privata ed è partito alla volta del Festival Nova, salvando la vita a molti dei superstiti del rave, preso d’attacco dai terroristi di Hamas. Da allora, la sua presenza costante su giornali e media sembrerebbe confermare la volontà di tornare in politica. Questa volta in prima linea, con un partito nuovo e dalle maglie larghe. Tra i giovani in marcia a Kaplan, invece, è emerso il volto - e la voce - di Eylon Levy. Classe 1991, inglese per nascita ma figlio di genitori israeliani, terminati gli studi a Cambridge si arruola nell’esercito dove lavora per il Cogat nella logistica delle attività congiunte tra Israele e Territori.

Diventa poi presentatore per il canale “i24”, fino a essere nominato portavoce del presidente Isaac Herzog. Lo scorso anno aveva preso una pausa professionale, fortemente scosso dalla spaccatura interna al Paese dovuta alla riforma giudiziaria. Fino al 7 ottobre. «Quel giorno ho capito, nell’immensità della tragedia, che Israele si trovava anche di fronte a una grande opportunità. Ritrovare l’unione andata persa. Ho cominciato immediatamente a far sentire la nostra voce attraverso i social. In meno di una settimana i miei post erano diventati virali fino a ricevere la chiamata da parte del governo che voleva diventassi il loro portavoce all’estero». Levy per ora non si sbilancia su una sua possibile candidatura: «Siamo ancora lontani dalla fine del conflitto. Terminata questa guerra comincerà un lungo, e faticoso, processo di ricostruzione, sia materiale che morale, in cui trasformare quello che è stato un trauma dalle dimensioni e dalle conseguenze disastrose, nella nostra rinascita. Non posso ancora in che veste. Ma sono certo che farò del mio meglio per cercare di far prosperare la pace in Medio Oriente».
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