undefined - Massimo Dezzani
Qualcuno – i meno ottimisti – lo definisce «Nuovo disordine mondiale». Per molti altri si tratta invece di una «distruzione creativa», quel processo di mutazione che secondo Joseph Schumpeter «rivoluziona incessantemente la struttura economica dall'interno distruggendo senza sosta quella vecchia e creandone sempre una nuova». Visione a suo modo immaginata con cupi accenti anche dall’utopista Aldous Huxley e prima di lui da Karl Marx. Ma nessuno di loro, neppure l’economista austriaco di Harvard, aveva immaginato che il mondo si ripartisse in quattro zone, quattro zolle tettoniche strettamente connesse e in forte competizione tra loro come sta accadendo oggi.
Le guerre del passato avevano cambiato il volto delle alleanze e degli equilibri geopolitici. Usciti dalla Guerra Fredda avevamo ingannevolmente creduto – con il soccorso di Francis Fukuyama e del suo saggio sulla fine della Storia – che la diffusione delle democrazie liberali, del capitalismo e dello stile di vita occidentale avrebbe prevalso in tutto il mondo. Non è accaduto, ma neanche Samuel Huntington aveva ragione nel prefigurare l'imminente scontro di civiltà. Si trattava solo dell’eterno confronto fra potenze. Vediamo come sta concretizzandosi.
America-Europa
Da almeno dieci anni il grande protettore dell’Occidente si è visibilmente ritirato dalla tutela politico-economica che aveva esercitato sull’Europa dall’epoca del Piano Marshall, oggi sostituito in larga misura dalla Nato. Ma l’impegno nel sostegno all’Ucraina - sul quale già si addensano molte nubi in vista delle elezioni presidenziali del 2024 - non riesce a nascondere la vera partita in corso a Washington: quella con la Cina, un duplice confronto non esente da rischi bellici che si svolge sul predominio dei mari e sulla competizione economica. Quest’ultima riguarda anche l’Europa, stretta nella ricaduta delle sanzioni che sta imponendo alla Russia e da una congiuntura sfavorevole e tuttavia legata a doppio filo all’interscambio con la Cina, grande fornitore-importatore dei suoi prodotti. Dietro il paravento di organismi invecchiati come il G7 s’intravede una sconfortante verità: Stati Uniti e Europa non sono più da tempo al centro del mondo. O quanto meno, come si è detto, debbono condividerlo con altri inquilini.
Federazione Russa
Come un calabrone che secondo la nota teoria non avrebbe le capacità di alzarsi in volo, a dispetto della guerra di aggressione all’Ucraina, delle sanzioni che hanno congelato le sue riserve internazionali per un valore di 300 miliardi di dollari, del rublo giunto ai minimi rispetto alla valuta americana, del manto illiberale che Vladimir Putin ha steso sulla società, la Russia rimane un gigante economico, politico e militare. Ma più che sul mondo occidentale, il suo sguardo poggia ormai sulla parte asiatica del suo sterminato territorio, in particolare sulla Cina, della quale è vassallo nelle forniture energetiche e dalla quale trae corposo sostegno al tavolo del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Mai come ora – pensiamo solo al patto suggellato da Putin nel cosmodromo siberiano di Vostoènyi con il “brother in arms” Kim Jong-un, all’esibita fratellanza con l’autocrate bielorusso Lukashenko, alla proclamata nuova corsa agli armamenti nucleari, alla capillare penetrazione nelle terre africane – Russia e Occidente sono stati così lontani. E mai come ora, è l’Asia, il quadrante indo-pacifico, l’area che va dal Golfo del Bengala alla penisola di Sachalin a rappresentare il cuore degli interessi russi e insieme a decretarne la consapevole sottomissione all’economia di Pechino.
Cina
Al soft power finora esibito nella felpata conquista di porti, aziende, marchi, all’inesausto land grabbing che ha fatto razzia di appezzamenti africani e latino-americani ricchi di terre rare essenziali per le tecnologie avanzate, la Cina ora mostra i muscoli. A cominciare dalla pericolosa roulette con l’America e i suoi alleati che si svolge attorno a Taiwan, e che impone a democrazie come quella giapponese – ma non solo a Tokyo, pensiamo anche a Seul – un raddoppio del proprio budget per la difesa: in pratica, un riarmo globale in tutta l’area indo-pacifica, cui non è estraneo l’altro gigante demografico, l’India di Narendra Modi, in bilico fra l’antica tradizione di capofila dei Paesi non allineati e la nuova vocazione di grande player economico e politico mondiale. Non a caso proprio da Delhi (e da Washington) nasce il progetto di connettere l’India al Medio Oriente e quindi all’Europa attraverso una rete di porti, ferrovie e cavi sottomarini, un corridoio che comprenderebbe India, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Israele e Unione Europea. In altre parole, una risposta anti-cinese alla Via della Seta.
Brics allargati
Un tempo erano solo cinque, Russia, Cina, Brasile, India, Sudafrica, i famigerati Brics. Ora però la platea si è affollata: dal primo gennaio 2024 sei nuovi Paesi entreranno a far parte del movimento. Argentina, Egitto, Etiopia, Emirati Arabi Uniti, Iran, Arabia Saudita. Dopo il loro summit a Johannesburg, il G20 di New Delhi, il G77 dell’Avana, e l’assemblea generale dell’Onu, il Sud del Mondo – che raduna ormai oltre centotrenta Paesi che rappresentano l’80% della popolazione del Pianeta – e reclama il suo giusto posto al tavolo dei grandi. Capeggiati dalla Cina (ma con molte riottosità da parte di Delhi), i Brics allargati rappresentano quel nuovo ordine economico mondiale (che auspica fra l’altro una de-dollarizzazione degli scambi a favore di una nuova valuta internazionale) che bussa imperioso alle porte del vecchio esausto mondo rappresentato da istituzioni e fragili congegni come la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale usciti settantanove anni fa dagli accordi di Bretton Woods e soprattutto dall’irriformabile Onu.
Tutto sta cambiando, tutto si rimescola. A cominciare dal volto del Medio Oriente, con il siriano Assad che si riaffaccia all'orizzonte e l’Arabia Saudita gigante economico e petrolifero prossimo a un’intesa con Israele, ma anche a una riedizione della deterrenza nucleare in funzione anti-iraniana. Zolle tettoniche in movimento, abbiamo detto. Con quali esiti è impossibile dirlo. Non tutti nefasti, certo, ma questa Guerra Fredda 2.0 che avvolge il mondo all’insegna di un riarmo globale non è il miglior biglietto da visita per il futuro.