martedì 10 marzo 2015
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Il caso inglese del figlio che diventa papà attraverso sua madre fa capire – anche solo descrivendo l’accaduto – cosa ci spalanchi il ricorso alla maternità surrogata. Ridurre il grembo materno a un contenitore al quale è stata tolto l’autentico valore affettivo, morale e umano, porta dritti a situazioni come quella di Kyle e Anne-Marie Casson, nella quale la cruda, utile funzionalità copre ogni altra considerazione, svellendo obiezioni e interrogativi di elementare evidenza con la spietata forza del pragmatismo: mi serve un figlio, non ho soldi, chiedo alla mamma di prestarmi per amore il suo utero. Quando si stima così poco la realtà da lasciarla in balìa di capricci e del calcolo si è indotti ad arrendersi a mille altre storie come questa, che ci sono già state, che vedremo ancora succedersi sul 'libero mercato' della vita, e che i cantori delle pretese individuali esaltano proprio perché sono il segno che tutto è possibile perché niente ha più valore tranne il grido disperato e infantile: 'io voglio'. L’Inghilterra ha legalizzato da tempo la maternità surrogata proprio per sottoporla a regole e limiti. Il risultato è questo self-service senza freni. La lezione è dolorosa e chiara.
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