sabato 22 marzo 2025
Daniele Bruschi, laico della Missione Belém a Port-au-Prince, racconta la fame di cibo e giustizia dell'isola dimenticata
Bambini dinanzi a un pentolone vuoto in un orfanotrofio ad Haiti

Bambini dinanzi a un pentolone vuoto in un orfanotrofio ad Haiti - Fotogramma

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Daniele Bruschi conosce bene le ferite di Haiti. Sono quasi dieci anni da quando ha lasciato la sua vita “normale” a Fiorenzuola d’Arda, in provincia di Piacenza, per dedicarsi ai poveri più poveri dell’isola di Hispaniola. Laico della Missione Belém, 48 anni, vive e lavora come contabile al centro che il movimento religioso nato in Brasile ha messo su nella baraccopoli Wharf Jeremie della capitale Port-au-Prince rubando spazio solo a macerie e immondizia. Un “porto franco” per le famiglie che cercano di sopravvivere alla disperazione e, soprattutto, per i loro bambini che, qui, possono andare a scuola, ricevere cure e, dettaglio non secondario, mangiare.

Come è cambiata Haiti in questi dieci anni?

La situazione è molto peggiorata. Ad Haiti, oggi, non esiste assistenza, né sanità, né giustizia. Non c’è niente. Quando sono arrivato, nel 2015, per fare un esempio, per comprare un dollaro occorrevano 54 gourdes, la moneta locale. Adesso ce ne vogliono 131. Questi numeri servono a dare l’idea della povertà devastante che è aumentata in questi anni perché i prezzi sono triplicati. La gente ridotta alla fame. Tutto questo ha una causa sola...

Quale?

La parola chiave è sempre solo una: corruzione. È un cancro che impedisce lo sviluppo del Paese e poi causa le lotte fratricide che, nel 2021, hanno portato all’assassino del presidente Jovenel Moïse e alla proliferazione delle gang che, come spesso accade in situazioni di vuoto di potere, senza Stato, senza polizia, stanno dominando il Paese cercando giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, di espandere il proprio controllo sul territorio.

Qual è il bisogno che intercetta maggiormente nella popolazione? Fame o giustizia?

La gente ha fame di cibo e di giustizia. Ma io credo che a monte di tutto questo ci sia essenzialmente sete di Dio. Soddisfare questo bisogno è il nostro obiettivo primario. Noi crediamo che solo l’insegnamento del Vangelo e la conoscenza di Dio che cerchiamo di trasmettere ai nostri bambini, ne abbiamo più di tremila, possa cambiare qualcosa. Personalmente non vedo altre soluzioni stabili e durature. L’intervento della forza multinazionale di polizia a guida kenyana non sta dando purtroppo grandi risultati. Le gang hanno raggiunto dimensioni difficili da affrontare con tantissimi ragazzini in prima linea pronti a morire.

Come approcciate le famiglie chiedendogli di mandarvi i bambini?

Da noi arrivano perché abbiamo un centro per minori malnutriti in cui offriamo cinque pasti al giorno. Così i bambini si avvicinano anche alla scuola, dall’asilo all’istruzione superiore, e da qui alla fede. E’ difficile che qualcuno ci dica di “no” anche perché ad Haiti quasi tutti hanno una religione, o meglio, tutti credono in qualcosa, per esempio, tutti credono nella vita dopo la morte. Ai bambini, noi, predichiamo che non si uccide, che non si usa la violenza, che bisogna condividere ciò che si ha. Può anche succedere, però, che i bambini crescano qui con noi, che vengano al mattino per qualche lavoretto e al pomeriggio per le lezioni. Gli diamo anche un piccolo stipendio con cui potersi pagare i libri, i vestiti e le scarpe facendogli sperimentare il senso d’indipendenza. La nostra speranza è tornare a organizzare per loro anche i corsi di formazione professionali - per piastrellisti, muratori, idraulici, carpentieri – come facevamo un tempo.

Perché adesso non è più possibile farli?

Perché la gente non si muove con facilità, nessuno vuole entrare nella zona rossa, rischiare la vita per venire da noi. È troppo pericoloso.

Se dovessi scegliere un'immagine della tua quotidianità ad Haiti quale sceglieresti?

Il popolo di Haiti sta soffrendo in modo indicibile, le persone escono di casa la mattina ma non sanno se torneranno. Il Paese è però anche i bambini tornati in forze dopo mesi e mesi di cure che gridano, scherzano e ballano. Io sono fiducioso perché sono ancora qui, vivo, a parlarne. Il futuro di questo Paese è nelle mani di Dio che nella nostra comunità opera un miracolo dopo l’altro. Probabilmente io non lo vedrò, ma le generazioni che verranno sì.


Un gesto per i Figli di Haiti: aiuta ad andare a scuola i bimbi della Maison des Anges, l’orfanotrofio sfollato
Si può donare tramite bonifico a:
Fondazione Avvenire ETS
IT97T0503401741000000020758

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